Mini: storia dell'utilitaria più piccola e famosa del mondo

La berlinetta venne lanciata sul mercato sessant'anni fa: la produzione della versione classica durò fino al 2000, prima che BMW Group continuasse a far rivivere il mito fino ad oggi
Mini: storia dell'utilitaria più piccola e famosa del mondo

Poca benzina, costo più alto: il nefasto effetto della crisi di Suez, datata 1956, si riflette sul mercato automotive mondiale. L'unica soluzione è fabbricare auto che necessitino di un carico di carburante minore rispetto al normale.

Lo sa bene anche Leonard Lord, Barone di Lambury nonchè capo della British Motor Corporation, che ancora non si è mossa in tal senso. Serve un'idea, una soluzione che tolga la BMC dalle difficoltà.

Il progetto viene affidato a Alec Issigonis. Il cognome non lascia scampo a interpretazioni, l’origine è chiaramente greca. Arriva in Inghilterra a 17 anni insieme alla madre dopo la morte di papà Constantine, che aveva già lavorato al servizio di Sua Maestà costruendo le ferrovie in Turchia.

Issigonis ha una mente vivace e piena di idee, un talento dell’ingegneria. Gli viene chiesto di fabbricare un’auto piccola, da città, economica e, soprattutto, comoda. In pratica, deve creare un qualcosa di quasi rivoluzionario per l’epoca. Ci riuscirà: e la sua eredità continua ancora oggi, nei giorni in cui spegne 60 candeline.

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Primo tassello, fondamentale per il recupero dello spazio: la posizione del motore, anteriore-trasversale e il cambio sotto di esso, oltre alla trazione anteriore. Carrozzeria a 2 volumi e 2 porte, lunghezza poco più di 3 metri: 4 persone riescono ad entrare.

Il motore è un albero a camme laterale dalla potenza di 34 CV. Le sospensioni a ruote indipendenti senza molle ma con elementi elastici in gomma, le ruote di soli 10 pollici e il vano bagagli ribaltabile verso il basso rappresentano un taglio netto verso il passato.

La macchina entra in mercato nel 1959. Ennesimo elemento peculiare: esce sotto due marchi. Si chiama infatti Austin Seven e Morris Mini-Minor. All’inizio non colpisce: troppo piccola rispetto alla tradizione, e poi quel volante così alto, sembra di essere alla guida di un camion.

Ma si avvicinano gli anni ’60: e nessuno si lamenterà più di quella berlinetta dai due nomi, ma riconosciuta da lì in poi sempre come Mini.

Il 1961 è un anno da cerchiare in rosso. John Cooper, titolare dell’omonimo team che ha corso in F1 fino al 1969, crede nella potenzialità della macchina, e costruisce per essa un motore sportivo. Cilindrata di 997 cc, 55 CV dai 2 carburatori, freni anteriori a disco. È nata la Mini Cooper.

Al suo successo contribuiscono anche le vittorie nelle gare rally, soprattutto grazie alla versione S. Montecarlo diviene preda delle Cooper nel corso degli anni Sessanta, quando la vettura trionfa anche nel Campionato Europeo. Destino vuole che nel 1967 la Mini Cooper vinca anche il rally dell’Acropoli: ci piace immaginarlo come un omaggio alle origini del suo creatore.

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La seconda serie, prodotta dal ’67 al ’69, non registra modifiche sostanziali. Sia la berlina classica che la Cooper vedono ampliati calandra e lunotto, luci posteriori rettangolari e una colorazione, nera, unica per tutti i modelli. Le stesse modifiche vengono adottate dalle versioni station wagon, denominate Traveller e Countryman.

Nel 1968 viene introdotta anche la Mini Matic. Il dato interessante riguarda la trasmissione: in pratica, la selezione dei rapporti avviene in base alla forza del piede sull’acceleratore. Poca pressione, basso numero di giri. Forte pressione, giri in aumento.

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Nel 1969 Mini diventa un vero e proprio marchio, e per la terza seriedella sua creatura ha in mente un piano a doppio binario: migliorare la versione classica e produrne una di lusso.

La classica “subisce” piccoli cambiamenti interni ed esterni, mentre i cavalli salgono a 37. La versione di lusso viene denominata Clubman. Il frontale, allungato e squadrato, differisce parecchio dalla Mini classica, suscitando anche alcune critiche estetiche. Più apprezzata la versione station wagon, chiamata Estate, dalle linee più efficienti, e che fino al 1976 mostra sulla fiancata una fascia in finto legno.

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Clubman ha però poca fortuna ed esce dal listino, proprio come Estate, che aveva comunque regalato buoni numeri. In casa Mini, negli anni Ottanta, parte la riorganizzazione, al cui vertice c’è la nuova 1.0 HLE e la Mayfair, che altro non è che la HLE con interni più raffinati e l’aggiunta di poggiatesta anteriori e contagiri.

La British Leyland (cambio nome anche per la BMC, nel frattempo), dalla metà degli anni Ottanta ai Novanta, lancia una serie di versioni speciali, fino alla Thirty, uscita nel 1989 per omaggiare i 30 anni dalla nascita, seguita nel 1996 dalla 35.

Sei anni prima, il gruppo Rover entra in Mini e apporta alcune modifiche alla scocca, rinforzata, e al motore, adesso di 1275 centimetri cubici, con alimentazione a iniezione elettrica (all’inizio singlepoint, in seguito multipoint) e marmitta catalitica.

Escono la Cabriolet nel ’93 e la 40 LE nel 1999, l’ultima prima del termine delle produzioni. Nel ’94 infatti il gruppo BMW acquisisce Rover, e quindi la Mini, impostando una nuova linea di sviluppo e continuando a realizzare, in chiave moderna, le idee concepite cinquant’anni prima dall’ingegner Issigonis.

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Poca benzina, costo più alto: il nefasto effetto della crisi di Suez, datata 1956, si riflette sul mercato automotive mondiale. L'unica soluzione è fabbricare auto che necessitino di un carico di carburante minore rispetto al normale.

Lo sa bene anche Leonard Lord, Barone di Lambury nonchè capo della British Motor Corporation, che ancora non si è mossa in tal senso. Serve un'idea, una soluzione che tolga la BMC dalle difficoltà.

Il progetto viene affidato a Alec Issigonis. Il cognome non lascia scampo a interpretazioni, l’origine è chiaramente greca. Arriva in Inghilterra a 17 anni insieme alla madre dopo la morte di papà Constantine, che aveva già lavorato al servizio di Sua Maestà costruendo le ferrovie in Turchia.

Issigonis ha una mente vivace e piena di idee, un talento dell’ingegneria. Gli viene chiesto di fabbricare un’auto piccola, da città, economica e, soprattutto, comoda. In pratica, deve creare un qualcosa di quasi rivoluzionario per l’epoca. Ci riuscirà: e la sua eredità continua ancora oggi, nei giorni in cui spegne 60 candeline.

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