ANFIA, Federauto e UNRAE: "Incentivi non rinviabili"

Le associazioni di settore, scrivono un comunicato congiunto nel quale ribadiscono l'insufficienza delle misure del Decreto Rilancio per uscire dalla crisi e la necessità di interventi mirati per salvare il settore
ANFIA, Federauto e UNRAE: "Incentivi non rinviabili"

La filiera del settore automobilistico alza la voce rivolgendosi, ancora una volta, alle istituzioni. ANFIA, Federauto e UNRAE, le associazioni di categoria che riuniscono Case auto e concessionarie, hanno scritto un comunicato congiunto nel quale ribadiscono come le misure adottate dal Decreto Rilancio per dare una scossa la mercato siano insufficienti.

I fondi (pochi) per rifinanziare l’ecobonus non bastano. “Si tratta di un intervento poco significativo per un’effettiva ripartenza del settore automotive nel nostro Paese” si legge nella nota diramata.

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Le richieste delle associazioni

Quello che le associazioni chiedono da tempo sono interventi mirati, perché il lockdown necessario per contenere i contagi da COVID-19 hanno avuto come effetto nefasto una crisi che ha messo in ginocchio il settore, che già non viveva una situazione rosea.

“Una campagna di incentivi per la rottamazione di auto e veicoli commerciali vetusti e l'acquisto di autoveicoli di ultima generazione, e per lo sviluppo infrastrutturale, nonché la revisione della fiscalità sulle autovetture per un adeguamento a livello europeo. Incentivi che allarghino la platea dei beneficiari, pur nel rispetto degli obiettivi di decarbonizzazione e sostenibilità ambientale, per rilanciare davvero il mercato e la produzione” è ciò che è richiesto per dare una scossa e salvare il settore.

Le proposte per uscire dalla crisi

I numeri della crisi

I numeri non mentono ed è la loro lettura che rafforza le proposte per uscire dalla crisi sostenute dalle associazioni. Il Coronavirus ha quasi dato il colpo di grazia all’intera filiera, in calo negli ultimi 20 mesi, ma che nel primo trimestre del 2020 ha fatto segnare il 24,6% di pezzi in meno realizzati rispetto allo stesso periodo del 2019.

Incentivi anche per auto fino a 95 CO/2

Inoltre, con le concessionarie chiuse per due mesi, il mercato sì è quasi azzerato. Il -85,4% di marzo e il -97,5% di aprile si sono tradotti nel dimezzamento delle immatricolazioni rispetto a marzo/aprile di un anno fa, nello specifico il -51%, ovvero 361.000 immatricolazioni in meno.

E con queste premesse, la riapertura delle concessionarie il 4 maggio non può bastare perché, con il mercato in stallo, sarà un’impresa titanica smaltire gli stock che affollano i piazzali.

Valori che portano quasi sull’orlo del baratro il settore che vale il 10% del PIL e che dovrebbe mettere in allarme anche lil Governo, perché si traduce in un minor numero di incassi per le casse dello Stato. Infatti, la stima è che “In assenza di interventi mirati, una chiusura del mercato auto 2020 con 500.000/600.000 unità in meno rispetto all’anno precedente determinerà un mancato gettito IVA di circa 2,5 miliardi di Euro”.

Troppe auto inquinanti

L’italia ha il triste vanto del parco auto più vecchio d’Europa, con il 57% delle vetture circolanti con più di 10 anni. Il principio di premiare l’acquisto di vetture meno inquinanti, spingendo l’acceleratore sulla decarbonizzazione è giusto, ma non constatare come il Coronavirus abbia ribaltato tutto, significa non tenere presente della gravità della situazione.

“L’acquisto di un autoveicolo è un investimento importante che, in questa fase, necessita di un sostegno adeguato alla realtà che stiamo vivendo, e che il mercato di oggi possa recepire positivamente”. Un auto nuova costa soldi che, in questo momento sono pochi (o non ci sono…), allargare la platea delle vetture aventi diritto all’ecobonus rappresenterebbe la giusta scintilla per riavviare il settore oltre a dare la decisiva spinta al rinnovo del parco circolante italiano verso soluzioni più green.

“Risulta incomprensibile come in Italia non si faccia nulla per salvaguardare la strategicità e la competitività di un comparto come l’automotive, che esporta oltre il 50% dei suoi prodotti, apprezzati in tutto il mondo per la carica innovativa e la qualità, e che in più occasioni ha dimostrato di fungere da traino per la ripresa produttiva di larga parte del sistema manifatturiero e quindi della nostra economia, e si preferisca andare incontro a un rischio di deindustrializzazione. Un settore che alcuni Paesi europei – con i quali, peraltro, la nostra filiera è profondamente interconnessa – stanno mettendo al centro dei loro Piani di supporto, così da rilanciare i consumi e la transizione verso un modello di mobilità più sostenibile”.

In un contesto come questo, il mea culpa del ministro Patuanelli suona più come una vera e propria beffa.

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