Lo sport italiano è una miniera d’oro ma i ristori sono soltanto briciole

Lo sport italiano è una miniera d’oro ma i ristori sono soltanto briciole

Un invisibile filo azzurro lega le 40 medaglie olimpiche e le 69 paralimpiche di Tokyo alle già 7 medaglie di Pechino conquistate nei primi quattro giorni dei Giochi invernali in sette diverse competizioni (pattinaggio di velocità; staffetta mista short track; slittino maschile; gigante femminile; short track femminile; sprint a tecnica libera sci di fondo; doppio misto curling). Da sette mesi, da quando, l’11 luglio scorso, a Wembley, la Nazionale ha riconquistato il titolo europeo del calcio inseguito per 53 anni, l’Italia non ha mai smesso di vincere. Naturalmente, a Pechino, come già a Tokyo e prima ancora a Londra, la corsa della politica a saltare sul carro dei vincitori è scattata puntuale, in un profluvio di tweet, post, lanci d’agenzia. La stessa politica, qualunque sia il colore di chi la rappresenta in Parlamento, che anche in occasione dell’ultimo decreto ristori, ha fatto l’elemosina. Peggio: ha lesinato persino le briciole. Del miliardo e 600 milioni stanziati il 21 gennaio per le attività economiche in crisi a causa della pandemia, soltanto 100 milioni sono stati destinati allo sport, con la beffa di sapere che 50 milioni sono appannaggio di un fondo già esistente. Nessuno eccepisce sugli aiuti al cinema e al teatro, ma è inaccettabile che la più grande azienda dello spettacolo, cioè lo sport, che garantisce occupazione, paga fior di tasse, contributi e ha una fondamentale valenza sociale, venga trattata a pesci in faccia. Chi bistratta lo sport, bistratta l’Italia.

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