Quando Sofia Goggia mi disse: “Sono Miss Nessuno”

Quando Sofia Goggia mi disse: “Sono Miss Nessuno”

Alla fine, ci eravamo divertiti a contarli, scoprendo che i passi nel mondo di Sofia erano stati diecimila. L’uno dopo l’altro nella sua, nella nostra Bergamo, «il mio centro di gravità permanente», mi spiegò colei che anche a Pechino ha incarnato il modo di essere più bergamasco che ci sia: mòla mia, mòla mai. E non c’è bisogno di traduzione, presumendo che anche i cinesi lo comprendano, in calce all’impresa leggendaria firmata da Sofia Roccia, ventitré giorni dopo la caduta di Cortina. Quel giorno di aprile del 2017, camminando in Città Alta con la ragazza di Astino, una splendida conca paesaggistica sui colli che circondano il capoluogo, Sofia mi raccontò molte cose, approfittando dell’insolita intervista deambulante concessa al Corriere dello Sport-Stadio per il quale scrivevo. Ieri notte, davanti alla tv, vedendola scendere come una kamikaze alla velocità massima di 134 km orari, ho ripensato a quei diecimila passi, con partenza e arrivo sul Sentierone, il cuore di Bergamo. Soprattutto quando, tagliato il traguardo, ha urlato con tutto il fiato in corpo prima di confidare le sue emozioni, le sue fatiche, i suoi sacrifici per riuscire a essere in gara alle Olimpiadi.

Mi sono tornate alla memoria molte parole di Sofia, rimaste impresse nella mente. Le stesse riecheggiate ogni volta che lei è caduta e si è rialzata. Disse: «Non ricominciamo con la solfa che ho fatto meglio della Compagnoni. Ho vinto due gare in Coppa e un bronzo ai Mondiali, ho collezionato 13 podi eppure mi ritengo ancora una Miss Nessuno. Non sono la prima in niente. Per ora». «Penso ci sia invidia nei miei confronti, ma è un sentimento che non ho mai nutrito verso nessuno». «Credo in Dio e nel Vangelo, vado a messa tutte le domeniche. La fede mi dà forza». «La serenità interiore è la condizione fondamentale per vivere bene». «Non sono una spendacciona. Da piccola ho imparato a dare valore anche ai 5 euro». «Avevo già in tasca il pass per Sochi quando mi saltà il ginocchio. Ho perso due stagioni». «Sono rimasta la ragazza di Via Lavanderio, Astino. Amo essere me stessa». «Il mio preparatore mi chiamava gatto di marmo. E mi ribattezzò Pachi, come pachiderma». «Il mio ideale è un uomo tripallico, con un carattere forte, ma in giro ne vedo pochi». L’accenno colleonico era decisamente freudiano, riferendosi al bergamasco capitano di ventura Bartolomeo Colleoni, nato a Solza nel 1395 e morto a Malpaga nel 1475. No, non è stato un miracolo l’argento di Pechino, ché miracolo suona persino definizione riduttiva della straordinaria impresa goggiana: affonda le radici nella fede, nella passione e nella forza di volontà di una che non molla davvero mai, qualunque cosa le piombi addosso. Aveva scritto su Instagram il 24 gennaio: «Se questo è il piano di Dio per me, io altro non posso fare che spalancare le braccia, accoglierlo e accettarlo». Ha detto ieri a Pechino: «Ho trovato una forza incredibile dentro di me, mi ha guidato una luce interiore. Questo è argento vivo». E tu sei oro puro, Sofia.

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