© Getty ImagesDominik Paris, per tutti Domme, è pronto per scrivere un’altra pagina della sua storia. Un uomo di poche parole, uno sguardo limpido come l’aria dell’Alta Val d’Ultimo, il luogo dove è nato e dove ancora oggi trova equilibrio e forza. Lì, tra le montagne che disegnano l’orizzonte del suo destino, ha cominciato a sciare a tre anni, ha partecipato alla prima gara a sei, e da allora non si è più fermato.
Vittorie
Le discese erano il suo campo di gioco, il SuperG la sua seconda casa. A 19 anni già girava il circuito di Coppa Europa, a 20 esordiva in Coppa del Mondo, e da allora ha scritto una delle carriere più vincenti e longeve della storia dello sci italiano. Diciannove vittorie in discesa, cinque in SuperG, un totale di 24 successi in Coppa del Mondo, una Coppa di specialità nel SuperG (2019), e due medaglie ai Mondiali: l’oro di Åre nel 2019 e l’argento di Schladming nel 2013. Eppure, per uno come lui, che ha domato piste leggendarie come la Streif di Kitzbühel e la Stelvio di Bormio, manca ancora qualcosa: una medaglia olimpica, e la Coppa del Mondo di discesa, la sfera di cristallo più ambita. Le due uniche assenze in un palmarès da fuoriclasse, di colui che già adesso è sul podio degli azzurri più titolati del nostro sci, dietro solamente al leggendario Alberto Tomba e al pari di Gustav Thoeni.
Stelvio
Paris è il simbolo dell’Italjet, la squadra azzurra della velocità. È il punto di riferimento, il veterano che detta il ritmo e la direzione. Il suo fisico imponente (190 centimetri di potenza e controllo) si sposa a una tecnica raffinata, costruita negli anni. La sua forza è nell’equilibrio, nella gestione del rischio, nella capacità di leggere la neve come pochi altri al mondo. E non è un caso che Bormio sia diventata la sua pista: sei volte vincitore sulla Stelvio, più di chiunque altro nella storia. Lì, dove le pendenze sfi orano il 60%, dove ogni curva può trasformarsi in trappola, Paris ha costruito il suo mito. E su quella stessa pista, quella su cui ha vinto e sofferto, ora sogna di completare la sua collezione: la medaglia olimpica. Perché nel 2026, quando i Giochi invernali torneranno in Italia, la discesa libera si correrà proprio lì, sulla “sua” Stelvio. E allora, per Dominik, tutto tornerà a chiudersi in un cerchio perfetto. A 37 anni sarà forse l’ultima grande occasione per scrivere la pagina più importante della sua carriera, quella che ancora manca. Nel frattempo, il finale della scorsa stagione ha restituito il miglior Paris. Il doppio trionfo a Kvitfjell, in Norvegia, ha segnato il ritorno al successo dopo un periodo complicato, fatto di infortuni e recuperi. Due vittorie in due giorni, come nei tempi migliori.

Destino
La sua storia è anche un tributo alla resilienza. Nel gennaio 2020, alla vigilia della discesa di Kitzbühel, si rompe il crociato. Sembrava finita. Invece no. Torna un anno dopo, più forte, più maturo, con quella determinazione che appartiene solo a chi ha già guardato negli occhi la paura. Le cadute fanno parte del gioco, ma è rialzandosi che si vede lo spessore di un atleta e ancor prima di un uomo. Lui lo ha dimostrato, stagione dopo stagione, con la calma di chi non ha bisogno di parole per imporsi. Paris è un uomo di montagna, un atleta d’altri tempi, capace di incarnare lo spirito più autentico dello sci: la lotta tra uomo e natura, tra equilibrio e rischio, tra coraggio e controllo. Ora, mentre l’Italia si prepara ad accendere la fiaccola olimpica sulle Alpi, il sogno di Dominik torna ad animare la neve. Quella medaglia d’oro che gli sfugge da una vita non è solo un obiettivo sportivo: sembra più che altro una questione di destino, un capitolo che aspetta di essere scritto sulla pista che più di tutte racconta chi è.
