Lupo: “Impensabile senza il tricolore”

L’atleta azzurro, medaglia d'argento nel beach volley alle Olimpiadi, ultimo portabandiera a Rio 2016: “Non riesco a immaginarlo. Per i Giochi l’Italia intera si riunisce”
Lupo: “Impensabile senza il tricolore”© EPA

È stato l’ultimo a portare la bandiera tricolore ai Giochi estivi, nella cerimonia di chiusura a Rio 2016. E se la politica - al momento c’è la crisi di governo - non troverà una soluzione al caso dell’indipendenza negata al Coni, potrebbe esserlo per lungo tempo, ben più dei 5 anni causa Covid tra l’edizione brasiliana e Tokyo. Daniele Lupo però non vuole arrendersi a questa prospettiva. È un record cui non tiene affatto, anzi. E intanto continua a prepararsi a Formia con Paolo Nicolai. L’idea è andare oltre l’argento di Rio.

Daniele come procede l’avvicinamento verso Tokyo?

«Bene, ci stiamo allenando a Formia per preparare il primo torneo stagionale a Doha, in Qatar, nel mese di marzo. Sperando che si disputi. La scorsa stagione, nonostante l’epidemia stesse esplodendo non lo fermarono. Siamo chiusi qui, rispettando i protocolli e le dovute cautele. Ogni cinque giorni un tampone. Non bisogna mai smettere di lottare contro questo virus. Ma non possiamo fermarci con l’obiettivo olimpico».

Lo sa, vero, che potrebbe detenere il record di ultimo portabandiera?

«Spero sinceramente non sia così. Rio fu una grandissima Olimpiade e per noi si concluse con la finale, un sogno. Poi il presidente mi offrì l’onore incredibile di portare il tricolore nella cerimonia di chiusura. Ricordo l’emozione all’ingresso del Maracanã gremito. Non lo scorderò mai. Tra l’altro, non avevo nemmeno potuto partecipare con Paolo alla cerimonia inaugurale perché la nostra partita era in programma il giorno successivo. Ma non dimentichiamo dell’inno. Ascoltarlo (e cantarlo) trasmette una carica pazzesca in ogni momento. Non soltanto sul podio, quando l’emozione poi ti travolge».

Cosa distingue, a suo avviso, l’Olimpiade da altre grandi manifestazioni mondiali?

«Partecipare ai Giochi significa portare in alto il Tricolore. Succede anche in un Mondiale, la differenza è che sui Giochi l’attenzione è globale, non soltanto degli appassionati. Tutti gli italiani si riuniscono sotto la bandiera».

Parlate tra voi atleti della possibilità di dover gareggiare come sportivi indipendenti, senza maglia azzurra, né bandiera? E ricorda che nello stadio del beach proiettavano la bandiera sulla sabbia alla presentazione delle squadre?

«Sì, lo ricordo bene ed era un momento bellissimo. Credo anche per gli spettatori sul piano scenografico. E sì, siamo sinceramente preoccupati della prospettiva. Personalmente proprio non riesco a immaginare di gareggiare senza i nostri simboli distintivi. Mi auguro, spero, che si trovi una soluzione comune, perché lo dico sempre a tutti, alle Olimpiadi avverti la magia che ti circonda, in cui vivi. Il tempo stringe, ma io fino all’ultimo conterò su un cambiamento, su un allineamento alla norme del Cio».

Cos’è cambiato in questi 4 anni dopo la medaglia d’argento?

«Nulla dal punto di vista individuale. Il beach volley è diventato un po’ più famoso, conosciuto dalla popolazione e questo mi rende felice perché il beach è una delle discipline sportive più belle che ci siano al mondo. Ma Paolo ed io siamo sempre gli stessi».

Sono trascorsi ormai quasi 5 anni. Lei ne aveva 25 e arriverà in Giappone a 30 compiuti. A Tokyo, partendo dall’argento di Rio, sarà sicuramente diverso. Vero?

«Noi ci stiamo preparando per andare a Tokyo con la consapevolezza di vincere. Cioè poterlo e doverlo fare. Ci sarà più pressione per il risultato da conquistare, le aspettative esterne saranno cresciute. Ma per noi non cambia nulla: sappiamo che sarà difficile confermarsi al vertice, però ci stiamo sfiancando di lavoro giorno dopo giorno per questo motivo. E ci pensiamo dal ritorno in Italia».

Prima sosteneva che il beach volley ha conquistato praticanti e fama. Anche a livello giovanile o si comincia sempre con il volley per poi dirottarsi?

«È uno sport che auguro a tutti di praticare e perfetto per i ragazzini. E devo dire che avverto molto interesse nel movimento. Noi abbiamo una scuola a Roma, in via Cortina d’Ampezzo, frequentata da oltre 100 ragazzini. L’età ideale per cominciare, a mio avviso, è 12 anni».

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