Il 23 settembre Sergio Mattarella riceverà al Quirinale la più vittoriosa spedizione italiana in 125 anni di storia a cinque cerchi, capeggiata dai diciotto campioni olimpici (Dell’Aquila, Cesarini e Rodini, Tamberi, Jacobs, Tita e Banti; Consonni, Ganna, Lamon e Milan; Stano, Palmisano, Busà; Desalu, Jacobs, Patta e Tortu). Jacobs, di medaglie d’oro al collo ne avrà due. La sera, gli azzurri saranno ospiti a cena di Mario Draghi: è presumibile che, in quella circostanza, Giovanni Malagò reiteri i concetti esposti in calce alla trionfale missione giapponese. Richiesto su come capitalizzare l’enorme patrimonio di Tokyo, egli ha risposto: «Continuando a gestire lo sport con chi ne possiede la competenza». E ancora: «Abbiamo reso felice l’Italia. La responsabilità era grande, ma la squadra che gestisce il Comitato olimpico è molto competente, cosa molto rara nel nostro mondo. Non è impossibile ripetere questo risultato. Dobbiamo occuparci di sport, solo di sport e non disperdere energie come siamo stati costretti a fare».
Traduzione: forse, ai Giochi, l’Italia avrebbe addirittura fatto meglio se due anni e mezzo fa non fosse entrata in vigore la peggiore riforma dello sport mai partorita da mente umana, disseminando la strada del Coni di ostacoli, polemiche, sottrazione di uomini e mezzi, su su sino al rischio di sospensione minacciata dal Cio qualora, in punto di morte, il Conte Due non avesse emanato il decreto che sancisce l’autonomia del Coni. Se così non fosse stato, l’Italia avrebbe gareggiato senza inno e senza tricolore. Ve l’immaginate Jacobs, la 4x100, Tamberi e tutti gli altri ori, sviliti sul podio per colpa di una politica ignorante di sport e di carta olimpica? E vogliamo parlare del miliardo di dollari destinato da Losanna a Milano Cortina 2026, che sarebbe stato congelato sine die? Ecco perché le medaglie di Tokyo sono quaranta, pesantissime picconate alla riforma non dello sport, ma contro lo sport: la politica di qualunque colore dovrà prenderne atto e intervenire. Lo sapevate che, nei primi otto anni della sua presidenza, Malagò si è dovuto confrontare con otto interlocutori diversi (Gnudi, Idem, Del Rio, Renzi, Lotti, Giorgetti, Spadafora e ora Vezzali)? Che, dopo la riforma, il Coni si è ritrovato con 45 milioni dei 130 milioni che aveva in dotazione? Che Coni Servizi aveva 650 dipendenti e ora il Coni ne conta 110? Ne aspetta 55 che, però, dovranno essere assunti tramite concorso pubblico: campa cavallo. E quando i centri di preparazione olimpica di Formia, Tirrenia e Acqua Acetosa saranno del Coni? E l’Istituto di Medicina dello Sport? Il 14 settembre si riuniranno il consiglio nazionale e la giunta del Foro Italico: si annunciano fuochi d’artificio. Il 15 giugno scorso, Malagò dixit: «La legge c’è, ma solo sulla carta. Mancano i decreti attuativi, c’è un rimbalzo di responsabilità fra pezzi dello Stato che sono fuoriclasse nel cercare di ostacolare, creare ostruzioni». Poi sono arrivate le 40 medaglie dei fuoriclasse, quelli veri. Gli altri twittano.