Elisa Di Francisca e la scherma: "Danza primo amore, ma volevo combattere"

La campionessa olimpica ai Giochi di Londra 2012 racconta il suo percorso, fra difficoltà e gioie
Elisa Di Francisca e la scherma: "Danza primo amore, ma volevo combattere"© ANSA

Elisa Di Francisca ha sempre rappresentato un’esplosione di emozioni capaci di fare la differenza nella vita e sulle pedane mondiali. Come accaduto a Londra 2012 dove colse il massimo, l’oro individuale, e in tanti altri epici momenti della sua lunga e blasonata carriera. Il suo rapporto di amore con lo sport ha però preso forma lontano dagli assalti: "Nasce a Jesi - ricorda - con la danza classica all’età di 5 anni e mezzo. A me è però sempre piaciuto combattere e quindi ecco arrivare circa due anni dopo la possibilità di provare con la scherma in una terra come la mia che ha dato i natali a tanti campioni e ancora prima ad un maestro di grandi valori come Ezio Triccoli. Il feeling fu immediato, graduali invece gli step per formarmi come specialista del fioretto. Mi piaceva molto potermi ritrovare con altri bambini, correre, fare anche sport diversi, familiarizzare con l’arma e assecondare la mia indole di combattente... spesso prima ancora che con gli altri con me stessa. Triccoli vide nella sottoscritta un talento e piano piano me ne convinsi anche io".

Non tutto è stato però così semplice, soprattutto quando occorreva operare il salto di qualità attorno ai 18 anni.

"Verissimo, addirittura smisi con la scherma per quasi due stagioni. Sembrava starmi stretta quella vita che mi portava tutti i pomeriggi a rinchiudermi in sala, privandomi automaticamente delle amicizie tipiche di quell’età e dei divertimenti esterni. In più avevo un fidanzato molto geloso. In un certo qual senso cercai di capire cosa c’era fuori e dopo quel periodo il richiamo di ciò che avevo lasciato si fece ancora più forte. Parlo di regole che ti venivano date attraverso lo sport, e io ribelle per natura ne avevo bisogno, di vita sana, di passione e sacrificio che conducono al risultato. Tutto ciò con cui dovrebbero avere a che fare oggi molti rappresentanti delle nuove generazioni. Lo sport ti prepara alla vita e ne è perfetta metafora".

Amare significa anche condividere i momenti.

"L’ho fatto con tutte le persone che sono sempre state al mio fianco nelle diverse fasi di carriera, quindi il maestro, il preparatore atletico, la famiglia. Non voglio sembrare troppo individualista ma la più bella forma di condivisione è però stata quella con me stessa, la parte con la quale ho sempre combattuto. Vincere l’Olimpiade ha rimesso le cose a posto facendomi dire che me lo meritavo, non avrei potuto perdere l’occasione".

Raggiungere il massimo nella rassegna dei cinque cerchi cambia la vita, non il rapporto con lo sport tanto amato.

"È rimasto immutato perché la scherma è sempre stata una parte essenziale della sottoscritta".

Trasporto e passione che portano anche a sacrificare qualcosa, non solo in pedana...

"Ho sempre odiato la quotidianità, la ripetizione del gesto, basti dire che cambio sempre il tipo di colazione per esempio. Mi nutro dei cambiamenti. Per la scherma invece mi sono adattata ad un certo tipo di routine, allenamenti, gare, persone".

Il trasporto nei confronti dello sport è trasferibile all’esterno?

"Lo faccio quasi tutti i giorni, anche parlando in diversi contesti, azione che mi viene molto facile per indole. Da quando ho smesso, per una scelta precisa legata alla salute e alla famiglia, non ho più aperto la mia sacca di scherma e fatico a trovare un altro sport da fare, anche quando sono in palestra per esempio. Però lo consiglio caldamente agli altri perché è anche una valvola di sfogo, permette di stare meglio, con sé stessi e in mezzo agli altri. Non posso negare che la scherma mi manchi, seguo un po’ le competizioni ma non dal vivo, salvo una garetta di mia nipote".

Nel cuore e nella mente, la prova che non si scorda mai?

"La mia prima vittoria a 12 anni in un Gran Premio Giovanissimi a Rimini. C’erano il maestro Triccoli e mia mamma. Alla fine mi batteva forte il cuore e sentivo di aver fatto una fatica immane per raggiungere il risultato. Iniziai a capire il valore del sacrificio. E ora, chiesi al maestro? Domani si torna in sala, mi rispose. Un grande insegnamento che non ho mai dimenticato".

Se non avesse fatto scherma le sarebbe piaciuto diventare un’artista a 360°, studiando anche canto e recitazione. Ne siamo certi, sarebbe riuscita a sfondare perché l’avrebbe fatto con identico trasporto.

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