Sport e patologie dell'anca: parola all'esperto

Il dottor Mario Arduini, chirurgo ortopedico: "L'attività sportiva prolungata e usurante, tipica del professionista, può rappresentare uno dei fattori di rischio per lo sviluppo dell'artrosi dell'anca. Fondamentale la prevenzione"

Iniziamo con lo sfatare un luogo comune: l’artrosi non è una malattia tipica solo della terza età. Colpisce a volte pure i giovani e sono anche gli sportivi ad esserne penalizzati. Sembra, infatti, che un’intensa attività sportiva prolungata possa costituire un fattore di rischio per una precoce usura della cartilagine, una membrana elastica che favorisce ogni movimento articolare. Il risultato è lo sfregamento delle ossa che compongono l’articolazione, con conseguente dolore tipico dell’artrosi dell’anca. Nel caso di artrosi all’anca, a deteriorarsi è appunto la cartilagine che riveste la testa del femore e l’estremità del bacino. In linea generale si può affermare che la chirurgia mininvasiva, oggi, aiuta ad evitare o almeno a ritardare, il ricorso alle protesi. Ne parliamo con il Dottor Mario Arduini, noto ed apprezzato Chirurgo Ortopedico, primario dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, esperto in Chirurgia dell’anca e del bacino, con il quale ci siamo focalizzati sulla relazione esistente fra patologie dell’anca, bacino e attività sportiva ed agonistica.

Dottor Arduini, le ultime statistiche indicano che le problematiche all’anca interessano anche gli sportivi. Cosa occorre sottolineare in merito?
«Nel corso della mia attività professionale mi è spesso capitato di trattare pazienti sportivi affetti da problemi all’anca. L’attività sportiva prolungata e usurante, tipica del professionista, rappresenta senza dubbio uno dei fattori di rischio per lo sviluppo dell’artrosi dell’anca per alcune categorie. In alcuni ambiti, effettivamente, vanno analizzati con attenzione anche i "danni" che lo sport praticato ad alta intensità prestazionale può determinare. Penso, ad esempio, alle cosiddette lesioni degenerative artrosiche. A tal proposito, è stato dimostrato come alcuni sport praticati in età adolescenziale possano causare dismorfismi in età successiva».

Ci sono sport che più di altri concorrono nello sviluppo dell’artrosi?
«Come già ho sottolineato, l’attività rappresenta, potenzialmente, uno dei fattori di rischio (ma non certo il solo) per lo sviluppo dell’artrosi dell’anca. Precisato ciò, va detto che tutti gli sport ad elevato impatto, penso al calcio, al rugby, al tennis, ma anche alla danza, possono mettere a repentaglio la salute dell’articolazione. Tutte queste attività si contraddistinguono per l’intensità e per un iper-utilizzo articolare che, in taluni casi, sembra connesso allo sviluppo di artrosi».

Quindi, artrosi e sport devono essere considerati nemici?
«No, non è così. Anzi, è vero esattamente il contrario. In base alla mia esperienza posso infatti affermare che lo sport rappresenta sempre una buona abitudine, anche se si è affetti da artrosi, perché, in linea generale, migliora la forza muscolare e l’elasticità dell’articolazione. Poi, c’è anche un altro elemento, non meno importante, da dover considerare: chi è affetto da artrosi, purtroppo, vede ridurre in modo sostanziale la qualità della propria vita. Disincentivare all’attività agonistica un paziente che ama fare sport, dunque, è sempre controproducente, proprio perché questo “divieto” rappresenterebbe per lui un’ulteriore ingiustificata privazione, che avrebbe ripercussioni negative proprio su quell’aspetto di qualità della vita al quale accennavo in precedenza».

Ci pare di capire che le passioni vadano sempre alimentate. È corretto ritenere che anche queste possano contribuire a mantenersi in piena salute ed efficienza?
«Da medico, ma anche da appassionato di sport, mi rendo conto che ad uno sportivo non si può chiedere di interrompere improvvisamente un’attività che lo appassiona, lo diverte e lo aiuta a scaricarsi. Mantenersi attivi ed evitare il più possibile la vita sedentaria per godere di una maggiore salute e benessere è poi il pilastro per la salute, anche delle articolazioni. E non importa quanti anni si hanno: l’attività fisica regolare è sempre importante, perché mantiene sano il sistema cardio-circolatorio, rinforza ossa e muscoli e aumenta l’elasticità generale».

Dottor Arduini, si sente sempre più di frequente parlare di ex calciatori che oggi hanno dovuto impiantare delle protesi. Perché avviene questo?
«ll conflitto femoro-acetabolare (FAI - Femoro Acetabular Impingement) è una patologia a carico dell’articolazione dell’anca, comune tra i giovani giocatori di calcio, che può portare ad una progressiva lesione della cartilagine dell’articolazione stessa. In questo senso, vale il discorso fatto in precedenza: l’anca del calciatore è un’anca stabile ma che può andare incontro a degenerazione artrosica dopo la conclusione dell’attività agonistica».

Alcuni mesi fa, il tennista Jannik Sinner, numero 1 del mondo, mondo, è stato affetto da problemi all’anca, che gli hanno impedito di partecipare ad alcuni tornei importanti. Per i tennisti stanno aumentando le problematiche legate all’anca?
«Va innanzitutto precisato che nel caso specifico di uno sport come il tennis, sono da alcuni anni cambiate le dinamiche di movimento: è aumentata la potenza ed ora si gioca con più esplosività, perché i tennisti caricano il movimento su tutte le articolazioni, e in particolare sull’anca. Effettuare una diagnosi precoce in questi casi è fondamentale. Si deve arrivare a una diagnosi già quando il paziente sportivo lamenta dolori all’inguine o all’altezza del gluteo. In questi casi è opportuno effettuare una visita da uno specialista. Qualora il professionista dovesse riscontrare un’effettiva problematica a carico dell’anca, è necessario effettuare una radiografia, strumento essenziale per indirizzare il medico verso l’opportuna terapia, anche attraverso l’effettuazione, ove lo si ritenga necessario, di una successiva risonanza, con o senza contrasto».

Nel tennis abbiamo anche il caso di Andy Murray, al quale era stata impiantata una protesi abbastanza precocemente. A un certo punto della carriera, si è trovato con un’anca che presentava un conflitto femoro-acetabolare. Un problema serio, che hanno cercato di risolvere con un’artroscopia, con l’obiettivo di rimodellare il collo del femore. Però, è poi dovuto andare incontro ad un intervento di protesi. Sono casi frequenti, questi, negli sportivi?
«C’è da dire che negli ultimi 20 anni le tecniche diagnostiche sono state molto affinate. Oggi, siamo dunque in grado di effettuare diagnosi estremamente precise, rapide ed appropriate, anche nel campo dello sport. Personalmente ritengo che la mini-invasività rappresenti il filo conduttore di un’attività sia clinica che di ricerca focalizzata su metodiche ‘soft’, cioè tecniche che permettono la risoluzione delle lesioni e il ritorno a tutte le attività del paziente (anche agonistiche) con tempi di recupero più rapidi. Certamente, nei casi di maggiore complessità, il ricorso ad un intervento di protesi non può essere escluso. Sarà il chirurgo ortopedico a scegliere la strada migliore da intraprendere per il pieno recupero dell’atleta. Adatto a tutti gli sportivi, questo tipo di chirurgia ha infatti indicazioni precise, che devono essere valutate caso per caso».

In questo senso, dottore, su quali basi si fonda il suo approccio? Come è opportuno trattare le patologie artrosiche?
«In linea generale, la mia filosofia è quella di trattare le patologie artrosiche e traumatiche di anca e bacino con la tecnica più adeguata, per dare il più rapido e completo recupero possibile al paziente. Ma, per ciò che riguarda nello specifico gli sportivi, su una cosa occorre essere estremamente chiari e cioè sul fatto che, un atleta affetto da problematiche all’anca o al bacino, dopo un intervento artroscopico o protesico, possa recuperare la propria efficienza e capacità agonistica. La casistica indica che i risultati, in tutti questi casi, sono eccellenti. Certo, con una serie di raccomandazioni che personalmente mi sento sempre di suggerire allo sportivo che ha subito un intervento o a chi è affetto da problemi all’anca, soprattutto a quello che fa sport in modo amatoriale e non agonistico».

Qual è, dunque, il consiglio che è opportuno dare in tali contesti?
«Quello di continuare certamente con lo sport, qualsiasi tipo di sport, ma di farlo utilizzando dei piccoli ma importantissimi accorgimenti: chi fa corsa, ad esempio, la dovrà praticare su terreni morbidi e non particolarmente duri o sconnessi; chi fa tennis, meglio che lo pratichi dedicandosi al doppio e non al singolo. Quando si sviluppa un’artrosi dell’anca, infatti, l’articolazione diventa “più delicata” ed occorre avere alcune attenzioni nell’attività fisica. In generale, quando si sviluppa un’artrosi all’anca è consigliabile ridurre l’intensità dello sport praticato. Come sempre, tuttavia, è indispensabile consultare un ortopedico, che sarà in grado di offrire i consigli più appropriati in tal senso, analizzando singolarmente le caratteristiche di ciascun paziente».

Chi è il dottor Mario Arduini: il curriculum

Il dottor Mario Arduini è Chirurgo Ortopedico esperto in Chirurgia dell’anca e del bacino. È primario del Reparto di Ortopedia dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma. Ha conseguito la laurea in medicina nel 2002 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Nel 2007, a soli 29 anni, ha conseguito la Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia. Dal 2008 al 2018 è stato Dirigente Medico presso il reparto di Ortopedia del Policlinico “Tor Vergata”, e docente presso il Corso di Laurea di Fisioterapia e della Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia. Dal 2018 a Febbraio del 2021 ha coordinato il servizio di Traumatologia del Bacino presso l’Humanitas Gavazzeni di Bergamo. Esegue la libera attività presso la Casa di Cura Ars Biomedica a Roma e presso lo studio Pret Medica in Viale Città D’Europa 801. È membro del consiglio direttivo di varie società scientifiche ed autore di diverse pubblicazioni scientifiche e di capitoli di libri internazionali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...