L'urlo di Alcaraz, l'incredibile Hulk di Wimbledon

Venerdì il murciano sfida Medvedev: "Qui mi diede una lezione, sarò nervosissimo". Sinner intanto prepara la rivincita del 2022 con Djokovic cucinando la pasta
L'urlo di Alcaraz, l'incredibile Hulk di Wimbledon© Getty Images

Il “vamos” che chiude il match è più di un grido, è un urlo che si trasforma in ruggito. Carlos Alcaraz, Carlitos sul tabellone segna punti del Centre Court, dà sfogo al proprio animo ferino, quel quid di animalesco e brutale che non può cancellare né sottacere, ma appena stemperare con i larghissimi sorrisi che dispongono in formazione militare i brufoli di un volto ancora bambino. Avere venti anni e vincere dieci partite di seguito sulla superficie più scombiccherata del tennis. Anche la più adulta, dato che l’erba non ammette solo il gioco d’istinto, ma chiede che i punti vengano pensati prima di passare a dare loro una forma definitiva, e rendere in tal modo accettabile anche il ricorso all’impulso immediato.

Ma chissà se questo Carlitos lo sa. Forse sì, e allora permettetemi di girare la domanda: chissà se è disposto a conviverci con questi pensieri che fanno da base al nostro sport. Non so dire. Vince di forza, il più delle volte, ma nel suo tennis c’è di tutto, in una scala armonica che obbligherebbe qualsiasi direttore d’orchestra a un continuo utilizzo di pastiglie contro il mal di testa. Sa passare da forte, fortissimo a leggero, leggerissimo in un batter di ciglia, ed è difficile che perda il controllo dei colpi.

Alcaraz, numeri da fenomeno

Un fenomeno. Con numeri da fenomeno. Prima semifinale sull’erba dei Championships a venti anni, primo titolo Slam a 19 (US Open 2022), numero uno ormai da 27 settimane complessive. Più di Nadal, il suo idolo numero due. Molto più di Federer, l’idolo da sempre amato. Rune, l’altro ventenne, s’inchina. Ha dato battaglia per un solo set, e si è spento sul più bello, concedendo il tie break su un doppio fallo, poi allo stesso modo anche il break nella seconda frazione. Troppo poco, contro Alcaraz, che dopo aver superato lo scoglio del primo set è corso via felice senza più sussulti né contraccolpi, fino ai 4 match point (il primo sul 5-3 del terzo, gli altri sul 5-4 con Alcaraz alla battuta) che hanno dischiuso le porte alla semifinale con Medvedev. «L’ho incontrato due volte, il russo, la prima proprio qui, a Wimbledon», racconta Carlitos, «e mi dette una stesa che ancora ricordo. Poi l’ho battuto a Indian Wells, quest’anno. È un grande campione e sa giocare bene sull’erba. Sarà una semifinale importante, come lo era questo quarto cui sono giunto nervosissimo. Ma Rune lo conosco bene, abbiamo percorso un bel tratto insieme. Siamo amici, anche se in campo è quasi una parola priva di senso».

Alcaraz, un tennis che fa pensare

È un tennis che fa pensare quello di Rune e Alcaraz. Il tennis dei quarant’anni in due non conosce la solitudine. La teme, forse nemmeno la concepisce. Di sicuro non la sopporta. Condivide le scelte tattiche in un continuo, a volte stralunato conversario con il box dei rispettivi consigli di amministrazione. Sono nati tennisti-aziende, e finiranno per cambiare il tennis. Forse già lo stanno facendo. Non importa spiegare che il nostro sport ha sempre imposto ai suoi protagonisti, e di sicuro continuerà a farlo, di assumersi la responsabilità delle scelte sul campo, momenti in cui si è a tu per tu con l’avversario e occorre chiedersi - in solitudine, appunto - che cosa sia giusto, e meglio, fare. Inutile, i quarantenni in due non se ne danno per inteso. Ogni colpo è l’occasione per proseguire il dialogo con il loro seguito di coach, fisioterapisti, manager, genitori. Il Consiglio di Amministrazione, appunto. Costretti a seguire la partita quasi fossero in campo anche loro, i consiglieri, sudati, spettinati, con il fiatone. Carlos Alcaraz e Holger Rune sono instancabili nelle richieste di continue correzioni da apportare al tracciato del match studiato a tavolino. Alla fine, l’idea migliore, il consiglio, l’esortazione condivisa al momento giusto, è probabile che si rivelerà vincente. Ma sarebbe difficile ritenerla farina del loro sacco. Non quello di Carlos, e nemmeno quello del giovane Holger.

Alcaraz a Wimbledon, sembra più libero

Alcaraz appare più libero. Ferrero, il coach di sempre, gli lascia volentieri spazio, sa che i colpi del suo preferito, da soli, assumono connotazioni tattiche, anche se nascono per lo più dall’istinto. Hanno però la capacità di cambiare il match. Com’è successo nel primo set, quando Rune si è molto avvicinato, nell’intensità del gioco, a quella di Alcaraz. Lì lo spagnolo ha lavorato una smorzata di buona fattura, ma non decisiva, che Rune ha rilanciato scatenando il lob di Carlitos. Gran rincorsa e nuovo avvicinamento a rete di Rune, sempre più aggressivo, ma incapace di raggiungere il passante millimetrico a uscire dettato da Alcaraz quasi con una contorsione del busto. Una prova d’autore, che il danese ha subìto come una condanna. E non ha più tentato una sola smorzata fino al termine del match. Per il resto, botte da orbi, talvolta avventurose. Ma sempre con lo spagnolo a dettare i tempi della partita. Alcaraz è al terzo Wimbledon, Medvedev al quinto, e sono entrambi alla prima semifinale su questa superficie. Carlos mette le mani avanti, si dice convinto che il russo sia fortissimo sull’erba. Ma forse Daniil se ne deve ancora convincere. Nel 2021 raggiunse gli ottavi, miglior risultato fino a quest’anno. E con Alcaraz non si trova benissimo. Sono un problema i troppo istintivi, non si sa mai dove andranno a colpire. Medvedev poco li sopporta. Appuntamento a domani, come Sinner-Djokovic, la rivincita, dopo che Jannik avrà cucinato la pasta al pomodoro. Che porta bene. L’urlo di Carlos Alcaraz, 20 anni, n. 1 del mondo il più giovane in semifinale nella storia di Wimbledon.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...