Sinner, non è ancora tempo: Djokovic inarrivabile

Il serbo raggiunge la 35ª finale Slam cancellando in tre set Jannik, che però lotta. Domani con Alcaraz per il record di Federer
Sinner, non è ancora tempo: Djokovic inarrivabile© Getty Images

Non basta giocare una buona partita. Sinner la valuta «più che buona», e io per carità mi adeguo, mi accodo, correggo il giudizio. Più che buona mette tutti d’accordo? Anche Djokovic, purtroppo. Evidentemente non basta nemmeno giocare una “più che buona partita” per riuscire a batterlo.

Il tennis è un gioco d’incastri, e ciò che serve a costruire una vittoria, la presa di campo, il tempo per operare variazioni che siano sempre più credibili, incisive, e pungenti soprattutto, prende forma unicamente nella misura in cui l’avversario è disponibile a farsi da parte. Almeno un poco. Ma non Djokovic. Con uno come il serbo, gli spazi risultano sempre, inevitabilmente, ristretti. Non so, avrei voluto che Sinner affrontasse questa prima semifinale Slam della sua carriera in termini più aggressivi, più famelici, a mascella spianata, e così facendo costringesse il Djoker a subire la personalità del nostro ragazzo delle Dolomiti. Ma è successo solo in parte. Sinner ha offerto un quadro d’assieme del suo tennis, delle proprie qualità, che di sicuro gli fa onore, colpendo l’ex numero uno con schemi che mostravano velocità di palla e intuizioni che pochi posseggono. Ma si è trattato di incursioni, frastornanti come petardi fatti esplodere all’improvviso, ma pur sempre scorribande in un match che Nole ha governato fin dai primi colpi. Sinner non è riuscito a collegare quei momenti in un insieme unico, tale da renderlo ingestibile, insormontabile anche per l’ultimo dei Fab Four. Se gli posso fare una colpa, mi limito a questo. E la risposta di Sinner, «c’è tanto da imparare per me in una partita del genere», per quanto la ritenga apprezzabile, non cancella l’amarezza per l’occasione perduta.

Djokovic: "I 36 anni sono i nuovi 26"

Altre ve ne saranno. Ha ragione Djokovic nel sottolinearlo. A 22 anni JS è appena agli inizi della propria scalata. Nole lo definisce uno dei leader della nuova generazione. Ma lui c’è ancora, e ha tutta l’intenzione di giocare a lungo. Così fa sapere, aiutandosi con una battuta che sembra tratta dalle riviste al femminile... «I trentasei anni di oggi valgono i ventisei dei miei inseguitori». E a guardarlo l’impressione che se ne trae sconsiglia di dargli torto. È un Djokovic carico di motivazioni. Ha appena messo piede nella trentacinquesima finale dello Slam, la possibilità di centrare il ventiquattresimo titolo Major appare sempre più concreta (potrà distaccare Nadal e appaiare Margaret Court Smith), e poco più oltre già s’intravede la montagna del Grand Slam. L’imbattibilità ormai decennale sull’erba del Centre Court ne sorte confermata, il progressivo avvicinamento a Federer che di Championships ne ha vinti otto, uno più di lui, prosegue, e nella finale contro Alcaraz potrà giocarsi anche la leadership del tennis. Il vincitore sarà numero uno (con 9595 punti Nole, con 9675 punti Carlitos), il modo più bello per chiudere un grande torneo.

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Djokovic e Sinner, la semifinale

Nei primi due set, Djokovic è stato semplicemente superiore a Sinner, si è staccato quando ha voluto e ha limitato al minimo le chance di essere raggiunto. Possibilità di imprimere una svolta al match e di avviarlo in altra direzione non sono mancate a JS. Le prime due palle break le ha avute lui nel gioco d’avvio del confronto, poi un’altra, più avanti, nel primo set. Nole ne ha avuta una soltanto, nel secondo game, e su quella ha costruito l’intero edificio. Si è portato avanti 3-1 e ha dribblato tutti i possibili scogli. Lo stesso ha fatto nel secondo set, con un break nel terzo game, anche quello apparso facile, per non dire scontato. Meglio, molto meglio, per Sinner, la terza frazione. Lì Semola è risultato più battagliero, aggressivo, e il suo livello si è avvicinato non poco a quello di Djokovic. Non ha più ceduto il servizio, malgrado Nole abbia potuto disporre, nel solito terzo game, di tre palle break che avrebbero chiuso ogni discussione. Sinner li ha cancellati mettendo in campo tutto ciò che di buono ha imparato in quest’ultimo anno. Ha attaccato con precisione (22 a 17, complessivamente, i punti vincenti colti a rete per l’italiano), ha servito meglio (8 ace contro 11 di Nole), ha forzato le traiettorie verso gli angoli (44/35 per Jannik il rapporto fra vincenti e errori non forzati, 33/21 quello del serbo). L’iniezione di entusiasmo per lo scampato pericolo ha spinto Sinner a una gara di testa, che avrebbe potuto riscrivere la storia del match sul 5-4, grazie a due set point che JS si è procurato su un Djoker sempre più preoccupato. Ma li ha falliti, e il tie break è stato a quel punto la conclusione più ovvia. Sinner ha condotto 3-1, ma nei successivi 7 punti ne ha ottenuti uno soltanto, mentre Djokovic ha prima operato l’aggancio, poi il sorpasso. Quasi avesse una cilindrata superiore.

Djokovic inarrivabile, ora Alcaraz

E forse proprio di questo si tratta. Il Djoker compone un tennis per altri impossibile, unisce la straordinaria precisione ai mille trabocchetti che prepara per gli avversari, e sa sfruttare svariati registri per raggiungere gli obiettivi che ha in mente. Sa colpire veloce (non velocissimo come Sinner) ma anche gestire ritmi più accomodanti, in modo da stranire gli oppositori. A Sinner è capitato. Vediamo se succederà di nuovo ad Alcaraz, dopo il ritiro a Parigi morso dai crampi più famelici proprio di fronte a Nole.

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Non basta giocare una buona partita. Sinner la valuta «più che buona», e io per carità mi adeguo, mi accodo, correggo il giudizio. Più che buona mette tutti d’accordo? Anche Djokovic, purtroppo. Evidentemente non basta nemmeno giocare una “più che buona partita” per riuscire a batterlo.

Il tennis è un gioco d’incastri, e ciò che serve a costruire una vittoria, la presa di campo, il tempo per operare variazioni che siano sempre più credibili, incisive, e pungenti soprattutto, prende forma unicamente nella misura in cui l’avversario è disponibile a farsi da parte. Almeno un poco. Ma non Djokovic. Con uno come il serbo, gli spazi risultano sempre, inevitabilmente, ristretti. Non so, avrei voluto che Sinner affrontasse questa prima semifinale Slam della sua carriera in termini più aggressivi, più famelici, a mascella spianata, e così facendo costringesse il Djoker a subire la personalità del nostro ragazzo delle Dolomiti. Ma è successo solo in parte. Sinner ha offerto un quadro d’assieme del suo tennis, delle proprie qualità, che di sicuro gli fa onore, colpendo l’ex numero uno con schemi che mostravano velocità di palla e intuizioni che pochi posseggono. Ma si è trattato di incursioni, frastornanti come petardi fatti esplodere all’improvviso, ma pur sempre scorribande in un match che Nole ha governato fin dai primi colpi. Sinner non è riuscito a collegare quei momenti in un insieme unico, tale da renderlo ingestibile, insormontabile anche per l’ultimo dei Fab Four. Se gli posso fare una colpa, mi limito a questo. E la risposta di Sinner, «c’è tanto da imparare per me in una partita del genere», per quanto la ritenga apprezzabile, non cancella l’amarezza per l’occasione perduta.

Djokovic: "I 36 anni sono i nuovi 26"

Altre ve ne saranno. Ha ragione Djokovic nel sottolinearlo. A 22 anni JS è appena agli inizi della propria scalata. Nole lo definisce uno dei leader della nuova generazione. Ma lui c’è ancora, e ha tutta l’intenzione di giocare a lungo. Così fa sapere, aiutandosi con una battuta che sembra tratta dalle riviste al femminile... «I trentasei anni di oggi valgono i ventisei dei miei inseguitori». E a guardarlo l’impressione che se ne trae sconsiglia di dargli torto. È un Djokovic carico di motivazioni. Ha appena messo piede nella trentacinquesima finale dello Slam, la possibilità di centrare il ventiquattresimo titolo Major appare sempre più concreta (potrà distaccare Nadal e appaiare Margaret Court Smith), e poco più oltre già s’intravede la montagna del Grand Slam. L’imbattibilità ormai decennale sull’erba del Centre Court ne sorte confermata, il progressivo avvicinamento a Federer che di Championships ne ha vinti otto, uno più di lui, prosegue, e nella finale contro Alcaraz potrà giocarsi anche la leadership del tennis. Il vincitore sarà numero uno (con 9595 punti Nole, con 9675 punti Carlitos), il modo più bello per chiudere un grande torneo.

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