Vavassori: "Io e Bolelli come Sinner, vogliamo le Finals di Torino"

Intervista al tennista finalista in doppio agli Australian Open: "Entrare nella top 20 ci garantirebbe la qualificazione ai Giochi Olimpici"
Vavassori: "Io e Bolelli come Sinner, vogliamo le Finals di Torino"© EPA

L a sua carriera è iniziata tanto tempo fa, nel campetto in cemento di fronte a casa, dove ogni domenica si allenava con papà Davide, il coach di sempre. Su quel terreno, punto di ritrovo per tre generazioni, c’era una crepa, ben visibile. Al termine di ogni seduta il padre la usava come unità di misura per spiegare ad Andrea a che punto fosse arrivato il suo percorso di maturazione. Dopo la vittoria in doppio con Bolelli a Buenos Aires e la finale agli Australian Open, quella crepa per lui è ancora un punto di riferimento. Lui, che in fondo è lo stesso di sempre e che adesso, per la prima volta, esordirà sulla terra rossa di Montecarlo, il teatro dove sognava di giocare da bambino: «È un torneo che ho sempre vissuto da fan, e il primo che ho avuto modo di vedere dal vivo. Mi ricordo quando partivamo all’alba con il pulmino del Monviso - circolo dove sono cresciuto - per andare a vedere i migliori del mondo. La cosa più importante per noi era riuscire a farsi firmare più autografi possibile. Entrare da giocatore sarà un’emozione speciale per me, come per mio padre, che per la prima volta lo farà da coach. È una delle cornici più belle del circuito. Una tappa diversa dagli altri tornei 1000: si gioca tutto in una settimana e bisogna adattarsi in fretta alla terra. Per noi sarà un po’ meno complicato perché abbiamo già fatto il tour in Sudamerica prima di partire per Indian Wells e Miami. Ho scelto di non giocare a Marrakesh per staccare la spina. Riparto con più energie».

Nel Principato non mancherà la spinta dei tanti tifosi italiani che ogni anno riempiono le tribune. Da giocatore come vive questo entusiasmo del pubblico? 
«È bellissimo vedere tutta questa partecipazione. I risultati degli ultimi anni, con la finale di Berrettini a Wimbledon - prima - e i successi straordinari di Jannik - poi - hanno facilitato tutto. Sentire il calore del pubblico ci dà una spinta in più, ci permette di alzare l’asticella».  
 
Alla luce di quanto già fatto fin qui in doppio con Bolelli e in singolare, che traguardi sente di poter tagliare? 
«L’inizio della stagione è stato più che positivo, la finale a Melbourne poi ha cambiato tutti gli scenari: ci ha permesso di entrare in top 30 e, di conseguenza, di giocare i primi due master 1000 della stagione. Gli anni scorsi facevo una programmazione sulla terra diversa, alternando Atp e Challenger. Adesso giocherò solamente i tornei più importanti. Dopo Montecarlo andremo a Barcellona, Madrid, Roma e poi Parigi. Saranno tre settimane toste senza stop. L’obiettivo è di tenere questo livello, vincere più partite possibili e centrare la top 20 per garantirci la qualificazione ai Giochi. È importante giocare più partite possibile e trovare un equilibrio nella programmazione per gestire entrambi gli impegni. Quanto al singolare, voglio sfondare la barriera della top 100 e giocare nel main draw dei grandi slam».  
 
Cosa funziona così bene a livello umano e tecnico tra lei e Bolelli?  
«Il nostro è un percorso nato per caso l’anno scorso durante la stagione sull’erba. Ci siamo trovati bene e abbiamo deciso di continuare. Lui ha tanta esperienza, e tra noi è nata una bellissima amicizia. Abbiamo un bel team, con mio padre che è un po’ il coach della coppia e ci da indicazioni prima e dopo le partite. Entrambi siamo ricettivi e cerchiamo di migliorarci insieme. Siamo molto aggressivi, quindi cerchiamo di imporre il nostro gioco. Stiamo lavorando molto sulla risposta. Con il nostro servizio, la copertura a rete e il gioco da fondo se riusciamo a rispondere con continuità - e non è facile - possiamo fare la differenza. Avere a fianco sempre lo stesso compagno ha diversi vantaggi. Entrati in top 30 abbiamo la stessa programmazione. E i tornei più grossi li giochiamo insieme». 
 
Dopo Melbourne la semifinale ad Indian Wells, poi un sorteggio sfortunato a Miami sia in doppio sia in singolare dove ha trovato Sinner. Impressioni in campo contro di lui? 
«Jannik mette tanta pressione in tutti i reparti del gioco. È cresciuto tantissimo nella risposta e nel servizio. Penso di aver interpretato la partita bene perché sono riuscito a non dargli troppo ritmo. È stato un peccato interromperla sul 3-2 perché con un ribattitore come lui rientrare in campo e dover vincere i primi due punti è difficile. Sono partite - e metto dentro anche quella con Alcaraz a Buenos Aires - che servono per capire a che punto sei e dove si debba ancora lavorare. Prima in singolo cercavo di giocare solo serve and volley, ora penso di essere cresciuto tanto a fondo campo. Mi sento molto più sicuro, soprattutto sul cemento».  
 
Sonego ha salutato Gipo Arbino, l’allenatore che per primo ha creduto in lui. Quanto aiuta avere suo padre a fianco tutti i giorni? 
«Mi ha messo un po’ di tristezza la notizia della loro separazione. Un fulmine a ciel sereno. Con Lorenzo abbiamo avuto un percorso simile, ci siamo vissuti tanto anche come team. A volte succede di prendere strade diverse, ma so che tra loro rimarrà per sempre un rapporto bellissimo. Essere seguiti dal proprio papà è speciale. A volte litighiamo, ma siamo bravi a resettare subito, cercando di vedere sempre le cose positive l’uno dell’altro». 
 
Sfiorata la doppietta azzurra a Melbourne, potete riprovarci a Torino nelle Atp Finals? 
«È l’obiettivo. La finale a Melbourne ci ha dato ancora più consapevolezza. Abbiamo il livello per raggiungerle e continueremo a lavorare».

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