Va in cerca di se stesso, Matteo Berrettini, e lo fa con le doti che gli sono naturali, tra le quali non mancano il buon senso e il coraggio. Ma occorre lavorarci ancora, sul progetto di rifondazione che ha posto in essere in questa stagione. Sarà necessario andare fino in fondo per riportare alla luce il giocatore da Gran Premio che era una volta, uno che in pochi mesi, con quella grazia naturale simile a una fiamma che pochi sanno far ardere, raggiunse quarti e semifinali in tutti i tornei dello Slam e a Wimbledon una finale che fece da anteprima all’avvento di Sinner. Il romano viene da tre vittorie nel circuito, dalla riconquista di oltre cento posizioni in classifica, e certo non dovrebbe patire problemi di sorta, meno che mai di tipo psicologico. Ma la facilità che lo spinge a dominare i tornei più piccoli si annulla contro il Moloch degli eventi a cinque stelle, che gli procurano sensi d’insufficienza indesiderati quanto inappropriati, tali da indurlo allo sconforto, se non addirittura all’ira nei confronti di se stesso.
Riguadagnare auostima e posizioni ranking
Sa che questi sono i tornei nel quale riguadagnare autostima e posizioni privilegiate in classifica, e su questi pensieri si arena. Gli è capitato nei tie break contro Sinner a Wimbledon (tre su tre, mentre nel set giocato sul 2-0 per Jannik, nella convinzione che ormai ci fosse assai poco da fare, Matteo riuscì a incantare tutti), e di nuovo nel primo set contro Ramos Vinolas, ieri al debutto degli US Open. Magro come un’acciuga, e con gli occhi calamarati da occhiaie profonde, lo spagnolo pesca ormai nel fondo della sua carriera, e questo ha permesso a Matteo di uscirne fuori con una vittoria che lo consegna a un secondo turno di ben diverso spessore, contro l’amico Fritz con cui non ha mai vinto (ma ha sempre lottato aspramente). Se il recupero di fiducia che gli ha permesso ieri di venir fuori da un primo set irto di ostacoli e di insidie auto-procurate, è svanito insieme con i pensieri meno ottimisti, lo vedremo alla prossima, ma certo contro l’americano servirà un Berrettini old style, o molto simile a esso. Altrimenti sarà dura portarsi avanti nel torneo. Non si fosse smarrito a metà del primo set, quando ha riconsegnato a Ramos-Vinolas un break che gli aveva estorto nel game precedente, Berrettini avrebbe avuto vita più facile. Ma così non è stato… Martello quando gli va, più spesso incudine, anche se i colpi mancini dello spagnolo hanno smesso di far danni ormai da lunga pezza, Berrettini ha sofferto di un calo di sicurezze a un passo dal 5-3, avanti 40 a zero sul proprio servizio.
La gara contro Ramos-Vinolas
Ha attaccato, Ramos-Vinolas l’ha passato agevolmente, e da lì è partita una raffica di errori che non ha fatto che ingigantire i dubbi del romano, già apparso in mezzo al guado sin dai primi scambi, pigro nei movimenti laterali anche se capace di miracolose mezze volate per sollevare le pallate più prossime alla riga di fondo. Colpevole di spreco, che è da sempre il rifugio degli incerti. È la febbre che in queste settimane agita Matteo, che più sale e più lo tira giù, rendendolo bisognoso di continue conferme e al tempo stesso incapace di comprendere quando le stesse prendono forma. Al punto da avvertire il bisogno di rimettersi in gioco di continuo, anche quando i match paiono essersi incanalati sui giusti binari. È successo a Cincinnati contro Rune, che Matteo aveva dominato nel primo set per poi farsi da parte senza un perché, e si è ripetuto contro Ramos-Vinolas, in un set ormai perso dallo spagnolo che Matteo ha di fatto rimesso in gioco, pur di bere fino in fondo l’amaro calice. Otto punti di seguito del calamaro spagnolo hanno fatto vacillare Matteo, che ne è sortito solo con una furiosa incavolatura contro se stesso. Giunta al momento giusto, e decisiva per le sorti dell’incontro.
Ora la sfida a Fritz
Rimessosi in riga, Matteo ha superato lo scoglio del tie break tornando a dominare e ha preso finalmente in mano le redini dell’incontro. Da qui in poi, ecco il Berrettini che vorremmo vedere sempre. Padrone del campo e del tennis che ha intenzione di esprimere. Quasi arrogante, senza mai esserlo a tutti gli effetti, ma certo devastante con i servizi a 225 orari e capace di 43 vincenti contro i 14 un po’ asfittici dello spagnolo. C’è chi vi racconterà di un Matteo solido e voglioso, e dal secondo set è stato davvero così, ma i batticuori della prima frazione sono stati eccessivi e inappropriati. Alla fine tra i due in campo vi sono stati venti punti di differenza (104 a 84) e danno un’equa misura delle forze in gioco, ma credetemi, potevano essere molti di più. Contro Fritz tre sconfitte finora e mai una vittoria. È un giocatore che serve poco peggio di Matteo e risponde invece decisamente meglio. Quello che può fare la differenza è l’imprevedibilità, che Matteo ha tra le sue doti, mentre l’americano non sa neanche cosa sia. Si giocherà su un campo importante, un motivo in più per far rivivere a Berrettini i bei tempi di qualche anno fa,q uando gli infortuni non gli avevano ancora soffocato la gioia. Oggi la sta recuperando. Una vittoria su Fritz gliela farebbe respirare a pieni polmoni.