Jannik Sinner colpevole o vittima del fuoco incrociato nelmondo dell’antidoping, caratterizzato ormai da tempo da una guerra tra superpotenze politiche e sportive come Usa, Cina e Russia? Questa è la prima do- manda che sorge, neppure tanto spontanea (basta leggere le carte), nel giorno del ricorso della Wada, l’Agenzia Mondiale Anti- doping, contro la sentenza dell’Itia, il Tribunale Internazionale dell’Integrità del Tennis, che in settembre ha scagionato il numero 1 del mondo per la positività al Clostebol, assunto inconsapevolmente a marzo durante il torneo di Cincinnati tramite i massaggi del fisioterapista Giacomo Naldi (poi licenziato con il preparato- re Umberto Ferrara, l’acquirente materiale dello spray galeotto) che aveva assunto la sostanza (uno steroide anabolizzante simile al testosterone) per cura-re una ferita a un dito.
Ricorso temuto
Un ricorso temuto, per molti atteso. Tanto più dopo la mossa di qualche settimane fa della stessa Wada, che aveva fatto slittare i termini di scadenza dello stesso con una mossa astuta: chiedere chiarimenti e ulteriore documentazione al giocatore. Cosa che ha consentito ai giudici dell’agenzia fondata dal Cio nel novembre del 1989 per coordinare la lotta mondiale al doping di cambiare le carte in tavola e chiedere al Tas (il Tribunale d’Arbitrato dello Sport, sede a Losanna) «un periodo di ineleggibilità compreso tra uno e due anni» aggirando la questione se il giocatore non avesse «nessuna colpa o negligenza», come risultanza della sentenza Itia di 120 punti in 33 pagine.
La Wada insomma punta probabilmente a dimostrare che Sinner abbia assunto il Clostebol non attraverso lo spray-pomata che ha contaminato la mano di Naldi. Cosa che costringerà l’entourage dell’altoatesino a ricominciare d’accapo con una squadra di avvocati e scienziati pronti a difenderlo. Per altro con tempi lunghi che peseranno su Sinner e sul suo rendimento.