È come il Montecristo di Jovanotti, Matteo Berrettini, simbolo di nuovi orizzonti che si schiudono, lungo una strada, nel corso di un viaggio, anch’essi rinnovati, e mai prima affrontati. Matteo il tennista è simile al Conte che “dopo aver girato mezzo mondo con il cuore in gola, mette molte vite dentro una vita sola”. È successo anche a lui, che dopo undici infortuni in tre anni, assapora oggi un nuovo inizio, dove tutto ciò che gli è successo sarà la ragione del nuovo “io” che verrà. Gli farà da viatico questa Davis, che è come un miracolo, l’ennesimo, ma non l’ultimo. E Matteo che se la stringe al petto, nella piccola riproduzione che farà da ricordo, è l’uomo che di quel miracolo ci rende partecipi. La tiene tra le mani mentre scende dall’aereo, quasi come una reliquia. Non la mostra, non se ne fa vanto, la tiene così solo per i suoi occhi. Ma la gente lo vede, come si fa a non vederlo alto com’è, e gli si avvicina. Un attimo e sono già in duecento. Poi trecento. Il settore “arrivi” di Fiumicino diventa due ali di folla da fendere, lasciandosi toccare e concedendo “il cinque”. Scatta l’applauso, lungo, quasi accorato. Roma lo accoglie così. E credo che mai accoglienza sia stata così spontanea, così naturale, così partecipata. Così bella…