Berrettini, dall'Inferno al Paradiso
Credo sia giusto fare questa piccola digressione. Matteo la merita. È lui il giovane Montecristo al centro di una storia senza fine nella quale la speranza non muore mai, bella da raccontare proprio come i miracoli, che sono per natura misteriosi, e al di sopra delle leggi dello sport. Nei momenti che contano, Matteo Berrettini si trasforma. È come se l’insieme dei sensori che lo allertano prendesse a vibrare, imponendogli una presenza diversa sul campo. Più attenta. Più risoluta. Non soltanto un modo per evitare sciocchezze, ché quelle fanno parte del gioco, e Matteo ha un tennis già rischioso di suo. Ma per raddoppiare le forze nei momenti di massima tensione. Ne sorte, Matteo, senza una sola scalfittura. Cinque match in singolare tra Bologna e Malaga, tutti vinti. Uno in doppio, giocato benissimo e vinto anch’esso. "Mi ha preso in braccio e mi ha portato sulle spalle", l’ha omaggiato Sinner, che è un giovane di poche ma sentite parole. "Siamo amici proprio per questo", rivela Berrettini, che è romano e con le parole ci sa fare, nutrito dal mental coach Stefano Massari con letture serali a base di commedie divine e inferni danteschi non dissimili da certuni che Matteo ha vissuto in prima persona. "Ma quando devi risalire e non ce la fai", gli diceva Massari, "cos’altro puoi utilizzare se non quello che hai dentro, la cultura che hai immagazzinato, i pensieri che hai affrontato leggendo un libro?".