Rino Tommasi, il personalissimo amore per lo sport

Giornalista enciclopedico di boxe e tennis, narrava pure con i numeri, coniò espressioni come “nel mio personalissimo cartellino”. Duo inimitabile con Clerici
Rino Tommasi, il personalissimo amore per lo sport
© -Agenzia Aldo Liverani Sas

«Quando eravamo re» vale per tanti personaggi dello sport, non solo per Muhammad Alì e George Foreman. Vale anche per Rino Tommasi, organizzatore o giornalista, una faccia che pareva sagomata da un pittore, inconfondibile voce, magari un po’ stridula però dicevi subito: parla Tommasi. Tutto “personalissimo” come il cartellino della sue cronache pugilistiche, entrato nel cult di tutti noi. Impareggiabile conoscitore di uomini, sport e campioni che amava quanto i numeri. Se n’è andato, ultimo di una lunga schiera di amanti della boxe e del tennis. Ultimo di quelli che niente e nessuno può riportarci in vita, se non la memoria: giornalisti fuoriclasse. Era sull’uscio dei 91 anni che avrebbe compiuto il 23 febbraio. Veronese di nascita, cittadino del mondo per professione e vocazione. Il tempo e l’età talvolta sono crudeli e, negli ultimi anni, avevano voluto giocare con la memoria di un uomo che, quando snocciolava fatti e personaggi, ti lasciava a bocca aperta. Non più sorpresa, solo ammirazione. Narciso, senza nascondere l’immodestia. Usava l’Io al maiuscolo per credo. Raccontava: «Il noi mi sembra meno effi cace e troppo prudente».

Fuoriclasse fra gli organizzatori di boxe

Tommasi è stato anche fuoriclasse fra gli organizzatori di boxe. Anzi, a 25 anni il più giovane organizzatore del mondo: uno degli Oscar che lo inorgogliva. Fece lievitare i nostri campioni: Rinaldi, Benvenuti, Arcari. Trovò i fi nanziatori per far disputare a Roma (1965) il mondiale fra Burruni e il thailandese Pone Kingpetch. Al primo Clay-Frazier rischiò di venir arrestato perché scambiato per un bagarino. Si inventò il primo “Annuario della boxe italiana”. Boxe grande amore, dieci anni vissuti vorticosamente da organizzatore. E sempre il giornalismo come leit motiv di vita. Gli piaceva ricordare che il primo servizio datava 4 dicembre 1953 per una riunione al milanese Teatro Principe, allora un regno dei pugni. Raccontò di aver interrotto la preparazione a un esame di ingegneria per dettare il primo articolo. Non a caso Tommasi ci sapeva fare con la matematica, però alla fi ne si laureò in Scienze politiche con una tesi sull’organizzazione internazionale dello sport. Da cultore del perfezionismo avrebbe ricordato che divenne organizzatore il 27 novembre 1959, che il 14 luglio 1948, a 14 anni, giorno dell’attentato a Togliatti e di una impresa bartaliana al Tour de France, cominciò a giocare a tennis. La prima telecronaca a 47 anni.

La carriera di Tommasi

L’Italia gli deve la scoperta di Mike Tyson, lo scodellò in tv pronosticando un grande e lungo avvenire. SuperMike lo ha ascoltato solo per la prima idea. Poi, certo, una carriera fra carta stampata e tv. Fu Gualtiero Zanetti, direttore santone, a portarlo alla Gazzetta dello sport. Agli inizi degli anni ‘80, Berlusconi gli affi dò la redazione sportiva di Canale 5: ribaltò molti canoni, ideatore della “Grande boxe”, trasmissione di successo, introdusse gli sport americani, fece sbarcare il Superbowl e il football americano. Scrisse per “Sportinformazione, covo di grandi giornalisti, “Tuttosport”, “Il Resto del Carlino”, guidato da Enzo Biagi. Scriveva per il “Tempo” e per la Gazzetta in contemporanea, ma sul quotidiano romano con lo pseudonimo Tom Salvatori (all’anagrafe era Salvatore Tommasi). E un giorno un lettore inconsapevole disse alla segretaria: «Dica a Tommasi che quel Tom Salvatori forse è più bravo di lui». Lo prese come il miglior complimento. Non a caso, però. L’Atp per due volte lo ha premiato come “Tennis writer of the Year”. Poi gli anni lo hanno riproposto nei meravigliosi siparietti delle telecronache di tennis con Gianni Clerici e Ubaldo Scanagatta. Il duo Clerici-Tommasi valeva la trasmissione, che in campo ci fossero Mc Enroe e Becker o Federer e Nadal. Si divisero il compito secondo il nickname che uno aveva affi bbiato all’altro: ”Dottor Divago” e “ComputeRino”. E la cronaca diventava cultura, statistica e varietà. Forse non fu giornalista da canoni tradizionali. Lo ammetteva. «Non mi piace lo scoop, non l’ho mai inseguito. E anche le interviste. Gli intervistati cosa hanno da dirmi di loro. Che io già non sappia?». Tutti già valutati sul “personalissimo” cartellino della sua vita.

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