Capolavoro Sinner: Jannik come Mondrian. E ormai con tutti gli altri c’è un abisso!

Il campione azzurro ha il dono di trovare la semplicità nella complessità, come in un quadro del padre del neoplasticismo. Zverev sembrava l’unico in grado di creargli difficoltà: schiantato in 3 set. Terzo titolo Slam, 2° di fila a Melbourne

Shhhh, silenzio! Siamo di fronte a un capolavoro. A un nuovo modo di guardare le cose del tennis, il presente e il futuro, ciò che è stato e ciò che sarà. E anche lui, Mastro Sinner, che sul capolavoro ha apposto la firma, appare per l’ennesima volta rinnovato – o aggiornato se preferite – ai nostri occhi che continuano a sorprendersi di ciò che sappiamo ormai benissimo di lui, giovane uomo dedito a migliorare di continuo, a essere sempre se stesso pur cambiando incessantemente. Trovare la semplicità nella complessità, è il tema di giornata, e Sinner lo affronta tracciando, quasi con voluttà, righe sempre più prossime e numerose, sulla tavolozza che il campo rappresenta. Tutte indicano una strada, un percorso compiuto, e ognuna è necessariamente diversa dall’altra. Se il tennis fosse pittura le righe avrebbero un proprio colore, a determinare figure geometriche diseguali ma rappresentative dei pensieri, delle scelte che le hanno determinate. E il campo diverrebbe simile a un quadro di Piet Mondrian, padre del neoplasticismo: opere all’apparenza semplici, da tutti riproducibili, in realtà strutturate in modi cui solo lui seppe infondere uno spirito vitale. 

 

 

Sinner e il tocco dell'artista

Così ha fatto Sinner, andando a cogliere il terzo frutto del suo viaggio negli Slam contro un tennista, Sascha Zverev, di grandi doti fisiche e balistiche, ma impreparato a cogliere gli sviluppi della costruzione tennistica che il numero uno gli stava proponendo. Non c’era spazio per il duello rusticano fine a se stesso, aveva senso solo la costruzione di un tennis in grado di offrire infinite traiettorie verso l’approdo finale, il rendez vous con la vittoria. Un tennis capace di raccogliere insieme la semplicità dell’esecuzione e la profondità delle intenzioni, divergente quel poco da se stesso per non essere mai uguale, e in grado di mostrare in quanti modi sia possibile operare scelte migliori dell’avversario, senza derogare dall’obiettivo fissato. Nasce così un match quasi privo di errori. Una finale che poche volte mi era capitato di osservare, nello svolgimento, e anche nel punteggio, tra due atleti a loro modo vicini come Sinner e Zverev. Due che prendono le mosse da un tennis di grande vigore, di estrema potenza e vitalità, simile per molti aspetti, se Sinner non l’avesse popolato di nuove indicazioni, e arricchito di mille particolari. Sono stato spettatore di svariate finali terminate con punteggi simili.

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Lo scivolone della stampa tedesca

Solo in Australia ho visto Agassi battere con parziali ancor più stringati e ingenerosi prima Clement (2001) poi Schuettler (2003), e Federer e Djokovic (nel 2010-2011) allontanare a spintoni Andy Murray nei suoi primi tentativi da finalista a Melbourne, ma si trattava sempre di match in cui le differenze, già sulla carta, sembravano incolmabili. Non è il caso di quest’ultima finale australiana. Anzi, il tentativo di Zverev aveva trovato sostegno in un’ampia coalizione di testimonial, tra cui spiccava Djokovic che aveva pubblicamente assicurato il proprio tifo all’amico. Per non dire di una parte della stampa tedesca, che non ha trovato di meglio che rilanciare il tema doping, ricordando i due test in cui Sinner è stato trovato positivo e arrivando a sostenere alla vigilia della finale (non prima, quando un confronto con Zverev appariva puramente ipotetico) l’ingiustizia della presenza nel torneo di un atleta che da tempo avrebbero dovuto fermare, dando modo a Zverev “di diventare il numero uno”. Salvo dimenticare che si trattava di una positività per un miliardesimo di grammo, che anche i gendarmi della Wada si sono rifiutati di considerare tale. 

Chi può fermare Sinner?

Tre set, e senza concedere nemmeno una palla break. Questa è stata la risposta di Sinner. Questo il capolavoro che spinge a guardare diversamente un tennis sempre più a guida italiana (sono 11, da oggi, gli azzurri in Top100, ed è un record). E a porre domande inusitate. C’è ancora qualcuno che possa sfidare Sinner alla pari? C’è Alcaraz, se sta in pace con se stesso, forse Djokovic nei tornei “due su tre”, e poi? Zverev era una possibilità, ed è caduta di schianto, infilato da Sinner con passanti precisi al millimetro e con un robusto palleggio al corpo, incapace di mettere a segno un ace quando davvero gli sarebbe servito, come nel tie break. Gli altri sembrano sempre più lontani. Anche Medvedev, Tsitsipas e Rublev, tra gli ultimi a sfilare una vittoria a Sinner. Ma se le cose stanno così, chi potrà fermare la corsa del numero uno? Il processo, è l’unica risposta. Ingiusto finché si vuole, ma chissà quanto atteso da chi spera di poter cambiare le cose con un colpo di spugna. 

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"Nelle tempeste Sinner ci sguazza"

La finale è possibile raccontarla, nei suoi valori tennistici, in due momenti appena. Il primo break è quello che spariglia le carte sul tavolo da gioco. Siamo 4-3 per Sinner e Zverev concede il 15-40 e a seguire altre due palle break. Sull’ultima, Jan lo invita a rete con un docile colpo al centro, ma al posto del solito dritto contundente si affida a un colpo alto, ben calibrato e dispettoso. Uno di quei colpi fatti per chiudere la disputa sul successivo passante. Zverev s’intorcina sulla volée, si colpisce addirittura le scarpe con la palla. Libero di volare, Sinner ne approfitta sul servizio per il 6-3, giocato a pieni giri, comprese due volée arpionate con zampate che sembrano quelle di un gatto. 

La seconda immagine viene dal 30 pari sul 5-6 per Zverev, secondo set. Punto decisivo. "Ma Sinner nelle tempeste ci sguazza", aveva detto coach Cahill. È così. Sinner riprova subito una smorzata, ne aveva appena sbagliata una, e con due bordate al corpo cerca di strappare qualche centimetro di pelliccia al tedesco, ormai a rete. Una, due volée imperfette, danno a Sinner un’opportunità per passare dalla parte del dritto di Zverev. Possibilità recondita, pochi centimetri appena, ma a Sinner bastano. La palla schizza a un dito dalla racchetta di Sascha. Si va al tie break. E Sinner lo domina, anche grazie a un nastro che evidentemente tifa per i nostri colori. 

 

 

Sinner e la classe del campione

La premiazione offre un’ultima immagine da ricordare. Zverev è affranto, Sinner lo consola. Sascha si appoggia alla spalla di Jan per le ultime lacrime di una nuova finale andata storta. Ma la differenza tra Sinner e “il resto del mondo” è ormai abissale. Sinner è il quarto negli ultimi 35 anni a non concedere palle break in una finale, si affianca a McEnroe, Lendl, Federer e Djokovic nel vincere tre Slam consecutivi sul cemento, è uno degli otto che in Era Open hanno vinto le prime tre finali Slam giocate (in serena compagnia di Connors, Borg, Edberg, Kuerten, Federer, Wawrinka e Alcaraz), e la sua percentuale di vittorie da numero uno (sopra il 93%) resta la più alta fra tutte. Zverev ne prende atto, e si rivolge a Jannik durante la premiazione con una frase che tra campioni non si sente spesso. "Sei davvero il numero uno, Jannik, e nemmeno di poco".  

 

 

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Shhhh, silenzio! Siamo di fronte a un capolavoro. A un nuovo modo di guardare le cose del tennis, il presente e il futuro, ciò che è stato e ciò che sarà. E anche lui, Mastro Sinner, che sul capolavoro ha apposto la firma, appare per l’ennesima volta rinnovato – o aggiornato se preferite – ai nostri occhi che continuano a sorprendersi di ciò che sappiamo ormai benissimo di lui, giovane uomo dedito a migliorare di continuo, a essere sempre se stesso pur cambiando incessantemente. Trovare la semplicità nella complessità, è il tema di giornata, e Sinner lo affronta tracciando, quasi con voluttà, righe sempre più prossime e numerose, sulla tavolozza che il campo rappresenta. Tutte indicano una strada, un percorso compiuto, e ognuna è necessariamente diversa dall’altra. Se il tennis fosse pittura le righe avrebbero un proprio colore, a determinare figure geometriche diseguali ma rappresentative dei pensieri, delle scelte che le hanno determinate. E il campo diverrebbe simile a un quadro di Piet Mondrian, padre del neoplasticismo: opere all’apparenza semplici, da tutti riproducibili, in realtà strutturate in modi cui solo lui seppe infondere uno spirito vitale. 

 

 

Sinner e il tocco dell'artista

Così ha fatto Sinner, andando a cogliere il terzo frutto del suo viaggio negli Slam contro un tennista, Sascha Zverev, di grandi doti fisiche e balistiche, ma impreparato a cogliere gli sviluppi della costruzione tennistica che il numero uno gli stava proponendo. Non c’era spazio per il duello rusticano fine a se stesso, aveva senso solo la costruzione di un tennis in grado di offrire infinite traiettorie verso l’approdo finale, il rendez vous con la vittoria. Un tennis capace di raccogliere insieme la semplicità dell’esecuzione e la profondità delle intenzioni, divergente quel poco da se stesso per non essere mai uguale, e in grado di mostrare in quanti modi sia possibile operare scelte migliori dell’avversario, senza derogare dall’obiettivo fissato. Nasce così un match quasi privo di errori. Una finale che poche volte mi era capitato di osservare, nello svolgimento, e anche nel punteggio, tra due atleti a loro modo vicini come Sinner e Zverev. Due che prendono le mosse da un tennis di grande vigore, di estrema potenza e vitalità, simile per molti aspetti, se Sinner non l’avesse popolato di nuove indicazioni, e arricchito di mille particolari. Sono stato spettatore di svariate finali terminate con punteggi simili.

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