Sinner, il no a Mattarella non convince e fa discutere: riecco le polemiche

Jannik in passato si è distinto per la capacità di fare scelte nette, che però si sono sempre rivelate corrette, a cominciare dal cambio Piatti-Vagnozzi

Ho sempre pensato che le decisioni di Jannik Sinner siano incise nella dolomia, o dolomite, un carbonato doppio di calcio e magnesio, duro e resistente, e non penso che la cosa possa stupire. Tra quelle rocce aspre ma chiare e luminose sotto i raggi del sole, i Monti Pallidi vengono anche chiamate le cime che si ergono tra le valli di Fassa, Gardena, Badia e la val Pusteria, lui vi è nato. E per quanto dall’età di quattordici anni abbia imboccato la via del mare, è logico immaginare che qualche cosa abbia portato con sé, magari impresso nel proprio dna. La sua storia, del resto, la stessa che rende orgogliosi tutti noi italiani, di tre volte campione nei tornei dello Slam sul cemento (del quale, guarda un po’, la dolomia è una delle componenti principali), è scritta sulle decisioni che ha saputo prendere, che come le sue montagne sono risultate talvolta aspre, ma quasi sempre chiare e talune perfino luminose. Giuste o sbagliate che fossero, sono il suo biglietto da visita, ed è giusto che ne vada fiero. Anche nelle occasioni in cui ha mostrato di saperle correggere, come quando si è trovato costretto a cambiare un team che funzionava e con il quale mostrava perfetta sintonia.    È in nome di questa sua dote, e delle molte decisioni prese finora, che si sono depositate nella sua bella storia finendo per costituirne l’architrave, che mi sembra doveroso chiedergli di ripensare un attimo all’ultima decisione, appena presa, quella di rispondere con un “no, grazie” alla chiamata del Presidente Mattarella, per un nuovo incontro con il tennis di casa nostra al Quirinale. Il secondo in due anni, ma è stato Jannik con gli altri azzurri ad aver creato i presupposti per la prima occasione (la Davis vinta), e a progredire e vincere senza sosta, fino a contare nell’anno appena terminato tre vittorie nello Slam (le due firmate da JS e quella di Errani e Vavassori), con altre cinque finali Major (due Paolini, due Bolelli e Vavassori, una Paolini ed Errani), le vittorie in Davis e nella BJK Cup, l’oro olimpico nel doppio femminile (Paolini-Errani, con il bronzo nel singolare di Musetti).

 

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Il grosso rischio

E ancora le Atp Finals, i tre Masters 1000 (Miami, Cincinnati e Shanghai), le vittorie nei “500” di Rotterdam e Halle, che portano tutte la firma del numero uno, il “1000” a Dubai di Jasmine e le vittorie nel Tour di Berrettini (Marrakech, Gstaad e Kitzbuhel), di Darderi (Cordoba) e di Sonego (Winston-Salem), con i doppi portati a casa da Bolelli-Vavassori (Pechino, Halle e Buenos Aires) e da Paolini-Errani (Roma, Linz e Pechino). Ventiquattro titoli in una stagione, cui si sono già aggiunti il terzo Slam di JS (il secondo in Australia), la finale di Bolelli e Vavassori a Melbourne e il successo in doppio ad Adelaide. I motivi per festeggiare non mancano. Una festa riservata ai tennisti e ai loro team, artefici di un riscatto che proprio le vittorie di Jannik hanno sollecitato e reso possibile. E poi, quando chiama un Presidente come Sergio Mattarella, più che mai presidente di tutti gli italiani, davvero non si può dire di no. Non è come rinunciare a Sanremo (che ha visto gli appassionati di tennis schierarsi dalla parte di Sinner). Al contrario, rischia di essere un no incomprensibile a tutti. Anche se vi sono dei motivi che hanno spinto verso questa decisione. Lo capisco… Essere uscito da una crisi fisica come quella che l’ha fatto tremare nel match contro Rune, mostrata in diretta a tutto il mondo, non può averlo lasciato tranquillo, anche se l’ha superata per poi vincere a Melbourne addirittura dominando. C’è il bisogno di staccare, di riposarsi, di mettersi l’animo in pace. Ma si tratta di poche ore, festose e felici.

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L'ultimo spiraglio

Ripensaci, caro Jannik, dai…  Mi sono permesso di scriverlo, perché le decisioni prese da Sinner nella sua ancor breve stagione da primo della classe – a proposito, malgrado la rinuncia a Rotterdam, che gli costerà 500 punti, il suo primato resterà al sicuro fino ai Masters americani di primavera, cosa che porterà Jannik ora a quota 34 settimane a superare le 36 da numero uno di Alcaraz – mi hanno sempre colpito. Un ragazzino che decide di lasciare la famiglia a 14 anni, e sei anni dopo, ormai ventenne, anche la nuova comunità che gli si era stretta intorno, sotto la guida di Piatti, fa storia a sé. Non ci sono paragoni da affiancargli. Nel 2022, sempre a Melbourne, si consumò un distacco clamoroso, determinato da una sconfitta con Tsitsipas che a quel tempo ci poteva stare, ma che Sinner, in cuor suo, già rifiutava. Poche settimane dopo, il nuovo gruppo di lavoro era fatto. Coach Simone Vagnozzi, cui Sinner affiancò pochi mesi dopo Darren Cahill. Il nuovo gruppo nasceva dall’esigenza di Sinner di determinare egli stesso le scelte legate allo sviluppo del proprio tennis. Una rivoluzione, vista con gli occhi di oggi. E una strada tutta nuova da battere. Anche in questi giorni Jannik l’ha ripetuto: «Voglio diventare un tennista completo». Vi furono poi decisioni anche meno comprensibili. Quella di rinunciare alla fase a gironi della Davis 2023, premiata però dallo scatto imperioso di Jannik verso i primati di oggi, a partire dal successivo torneo di Pechino vinto su Alcaraz (semifinale) e Medvedev (finale). E la rinuncia ai Giochi di Parigi dell’anno scorso, dettata dalle imperfette condizioni fisiche, e forse anche dall’avvio della vicenda Clostebol, per evitare “brutti scherzi” da parte della Wada. La stessa prima “convocazione” di Mattarella, venne rinviata per l’impossibilità di esserci da parte di Sinner, subito dopo gli Australian Open. Il presidente acconsentì volentieri a spostarla. S’intuisce come il ragazzo, dopo tre settimane trascorse in Australia, abbia la necessità di ritrovarsi con calma, di festeggiare con la famiglia, forse di azzerare tutto per ripartire. L’appuntamento di domani è però ormai fissato. Se c’è uno spiraglio, sta a Sinner renderlo praticabile.

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Ho sempre pensato che le decisioni di Jannik Sinner siano incise nella dolomia, o dolomite, un carbonato doppio di calcio e magnesio, duro e resistente, e non penso che la cosa possa stupire. Tra quelle rocce aspre ma chiare e luminose sotto i raggi del sole, i Monti Pallidi vengono anche chiamate le cime che si ergono tra le valli di Fassa, Gardena, Badia e la val Pusteria, lui vi è nato. E per quanto dall’età di quattordici anni abbia imboccato la via del mare, è logico immaginare che qualche cosa abbia portato con sé, magari impresso nel proprio dna. La sua storia, del resto, la stessa che rende orgogliosi tutti noi italiani, di tre volte campione nei tornei dello Slam sul cemento (del quale, guarda un po’, la dolomia è una delle componenti principali), è scritta sulle decisioni che ha saputo prendere, che come le sue montagne sono risultate talvolta aspre, ma quasi sempre chiare e talune perfino luminose. Giuste o sbagliate che fossero, sono il suo biglietto da visita, ed è giusto che ne vada fiero. Anche nelle occasioni in cui ha mostrato di saperle correggere, come quando si è trovato costretto a cambiare un team che funzionava e con il quale mostrava perfetta sintonia.    È in nome di questa sua dote, e delle molte decisioni prese finora, che si sono depositate nella sua bella storia finendo per costituirne l’architrave, che mi sembra doveroso chiedergli di ripensare un attimo all’ultima decisione, appena presa, quella di rispondere con un “no, grazie” alla chiamata del Presidente Mattarella, per un nuovo incontro con il tennis di casa nostra al Quirinale. Il secondo in due anni, ma è stato Jannik con gli altri azzurri ad aver creato i presupposti per la prima occasione (la Davis vinta), e a progredire e vincere senza sosta, fino a contare nell’anno appena terminato tre vittorie nello Slam (le due firmate da JS e quella di Errani e Vavassori), con altre cinque finali Major (due Paolini, due Bolelli e Vavassori, una Paolini ed Errani), le vittorie in Davis e nella BJK Cup, l’oro olimpico nel doppio femminile (Paolini-Errani, con il bronzo nel singolare di Musetti).

 

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