Sorpasso su Sinner, impresa titanica: il numero uno logora chi non ce l’ha

Si torna a Indian Wells, a un anno dall’esplosione del caso Clostebol, ma l’assenza per i tre mesi di squalifica patteggiati con la Wada non deve preoccupare troppo Jannik

Si va nella terra dei terremoti, dove tutto è accaduto, con il consolante sentore che niente di più possa accadere. Niente di peggio è certo. Ma sul niente di meglio non sarei tanto sicuro, dato che a favore dello status quo, che per noi fa di nome Jannik, di cognome Sinner, e per oggetto ha “la tenuta del primo posto in classifica”, sembra che molti interpreti si stiano caparbiamente dannando l’anima. Paga il torneo al momento, Indian Wells, primo fra i Masters Mille, e forse quinto Slam (ma su questo c’è chi ne conviene e chi no) che dovrà fare a meno di un numero uno talmente certificato, che ora che non c’è, che l’hanno fermato e ce lo ridaranno solo fra due mesi, lo sembra assai più di prima, fino ad apparire dispotico, proprio lui, Sinner, che di carattere è l’esatto opposto.

Dove nacque il caso Clostebol

Un anno è passato, dai giorni della scoperta di una “non positività da un miliardesimo di grammo” che infinite difficoltà addusse al nostro ragazzo dei primati. Successe proprio lì, nel primo torneo del Sunshine Double, il più estremo del tennis, a un passo dal deserto, tra i serpenti che si accampano sotto le panche del campo, le iguane che prendono residenza sui tabelloni elettronici, un bugno d’api appostato su un lampione, e sotto i piedi (un bel po’ sotto…) una faglia intitolata a San Andreas che ogni anno provoca più di diecimila sommovimenti tellurici. Lì nacque il caso Clostebol, ormai passato alla storia come l’episodio di “non doping” più commentato di sempre, e ancora oggi, a bocce ferme, il più gratificato dai “se” e dai “ma”. In realtà, la vittoria più grande di Sinner in una stagione nella quale il nostro jedi tennista non ha fatto che vincere. Tant’è che alla fine la Wada è stata costretta (forse impaurita) a rincorrerlo per un patteggiamento che Jannik non voleva ma che ha fatto bene ad accettare, ché chissà dove avrebbe portato – e quanto sarebbe durato – un processo sulle responsabilità del proprio team. 

 

 

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Una mano a Sinner

Tre mesi di fermo, uno ormai quasi scontato. Con l’obiettivo finale di tornare a dettare legge da maggio, il mese di Roma e dell’inizio del Roland Garros. Anche con nuovi problemi da superare e nuove strategie da approntare, su tutte quella di dove andare ad allenarsi («ma perché non si compra una villa con campo annesso?», la proposta più indecente che ho sentito), ma alla fine con una sola domanda inerente l’attività vera e propria alla quale dare risposta: riuscirà Jannik a rientrare da numero uno? Indian Wells è uno dei tornei che ha spesso dato risposte importanti su classifica e dintorni, ma non credo lo farà questa volta. Per carità, è solo una sensazione, ma è come se i protagonisti del tennis, così abili a dire la loro sul doping, trascurando di conoscere esattamente le carte sul tavolo, si siano stavolta consorziati per dare una mano a Sinner, in modo che niente capiti da qui ai giorni sospirati del suo rientro.  

Alcaraz e Zverev, come stanno

Alcaraz? Non so dentro a quale metaverso sia finito, dato che promette innovazione (essere più maturo, più continuo, verrebbe da dire… “più Sinner”) ma alla fine si crogiola in un sogno illusorio, visto che i problemi da lui stesso evidenziati sono ancora tutti da affrontare. Quarti in Australia, vittoria a Rotterdam faticando contro Hurkacz e De Minaur, quarti a Doha battuto da Lehecka… In classifica è ancora lì, a 3.820 punti da Sinner, e se non vince a Indian Wells, dove è il campione in carica, finirà ancora più lontano. Quest’anno, per gradire, i signori di IW gli hanno cambiato anche la superficie. Dal cemento in Plexicushion che tanto gli piaceva, sono passati al cemento in Laycold. Rimbalzi più alti e meno veloci, come a Miami (fatta salva l’umidità), dove Carlitos ha vinto una volta nel 2022, il suo anno migliore, quello da numero uno. E Zverev? Battuto da Sinner nella finale degli Open d’Australia, resta il più titolato a rilevarne lo scettro, ma ha sprecato un mese. A Buenos Aires ha perso contro Francisco Cerundolo nei quarti, a Rio ha fatto harahiri contro Francisco Comesana e ad Acapulco si è consegnato a Learner Tien. Resta a 3.195 punti da Jannik e tra Indian Wells (quarti nel 2024) e Miami (semifinale) dovrà scalare 600 punti, mentre Sinner si priverà dei mille punti della vittoria di Miami. Dovrebbe vincere entrambi i Masters americani di marzo per avere chance concrete di subentrare a Jannik alla guida del gruppo. Lo stesso dovrà fare Alcaraz… Ma qualcosa mi dice che non sarà facile. 

 

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Chiamatelo effetto Sinner

Lavorano tutti per Sinner, questa è la novità. Almeno, così è stato fin qui. Febbraio ha riportato il rovescio a una mano di Tsitsipas in Top Ten (nono), altri spostamenti non si sono verificati. La classifica propone a Musetti (pronto al rientro) un salto oltre il proprio best ranking. È sedicesimo, gli basta salire due gradini… E a Berrettini di proseguire sulla scia dei due buoni quarti di finale di Doha e Dubai, che l’hanno riconsegnato al numero 29, cioè in zona teste di serie nei tornei che contano di più. Febbraio ha riscoperto i canadesi, Auger Aliassime l’unico che abbia vinto due tornei in stagione (Adelaide e Montpellier, finalista anche a Dubai), risalito al numero 18, e Denis Shapovalov, 28 ATP, vincitore a Dallas e semifinalista ad Acapulco. Niente di più. Chiamatelo pure “effetto Sinner”… Quando c’è tutti gli danno la caccia, ma quando manca in tanti, troppi, si sgonfiano.  

 

 

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Si va nella terra dei terremoti, dove tutto è accaduto, con il consolante sentore che niente di più possa accadere. Niente di peggio è certo. Ma sul niente di meglio non sarei tanto sicuro, dato che a favore dello status quo, che per noi fa di nome Jannik, di cognome Sinner, e per oggetto ha “la tenuta del primo posto in classifica”, sembra che molti interpreti si stiano caparbiamente dannando l’anima. Paga il torneo al momento, Indian Wells, primo fra i Masters Mille, e forse quinto Slam (ma su questo c’è chi ne conviene e chi no) che dovrà fare a meno di un numero uno talmente certificato, che ora che non c’è, che l’hanno fermato e ce lo ridaranno solo fra due mesi, lo sembra assai più di prima, fino ad apparire dispotico, proprio lui, Sinner, che di carattere è l’esatto opposto.

Dove nacque il caso Clostebol

Un anno è passato, dai giorni della scoperta di una “non positività da un miliardesimo di grammo” che infinite difficoltà addusse al nostro ragazzo dei primati. Successe proprio lì, nel primo torneo del Sunshine Double, il più estremo del tennis, a un passo dal deserto, tra i serpenti che si accampano sotto le panche del campo, le iguane che prendono residenza sui tabelloni elettronici, un bugno d’api appostato su un lampione, e sotto i piedi (un bel po’ sotto…) una faglia intitolata a San Andreas che ogni anno provoca più di diecimila sommovimenti tellurici. Lì nacque il caso Clostebol, ormai passato alla storia come l’episodio di “non doping” più commentato di sempre, e ancora oggi, a bocce ferme, il più gratificato dai “se” e dai “ma”. In realtà, la vittoria più grande di Sinner in una stagione nella quale il nostro jedi tennista non ha fatto che vincere. Tant’è che alla fine la Wada è stata costretta (forse impaurita) a rincorrerlo per un patteggiamento che Jannik non voleva ma che ha fatto bene ad accettare, ché chissà dove avrebbe portato – e quanto sarebbe durato – un processo sulle responsabilità del proprio team. 

 

 

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