Si va nella terra dei terremoti, dove tutto è accaduto, con il consolante sentore che niente di più possa accadere. Niente di peggio è certo. Ma sul niente di meglio non sarei tanto sicuro, dato che a favore dello status quo, che per noi fa di nome Jannik, di cognome Sinner, e per oggetto ha “la tenuta del primo posto in classifica”, sembra che molti interpreti si stiano caparbiamente dannando l’anima. Paga il torneo al momento, Indian Wells, primo fra i Masters Mille, e forse quinto Slam (ma su questo c’è chi ne conviene e chi no) che dovrà fare a meno di un numero uno talmente certificato, che ora che non c’è, che l’hanno fermato e ce lo ridaranno solo fra due mesi, lo sembra assai più di prima, fino ad apparire dispotico, proprio lui, Sinner, che di carattere è l’esatto opposto.
Dove nacque il caso Clostebol
Un anno è passato, dai giorni della scoperta di una “non positività da un miliardesimo di grammo” che infinite difficoltà addusse al nostro ragazzo dei primati. Successe proprio lì, nel primo torneo del Sunshine Double, il più estremo del tennis, a un passo dal deserto, tra i serpenti che si accampano sotto le panche del campo, le iguane che prendono residenza sui tabelloni elettronici, un bugno d’api appostato su un lampione, e sotto i piedi (un bel po’ sotto…) una faglia intitolata a San Andreas che ogni anno provoca più di diecimila sommovimenti tellurici. Lì nacque il caso Clostebol, ormai passato alla storia come l’episodio di “non doping” più commentato di sempre, e ancora oggi, a bocce ferme, il più gratificato dai “se” e dai “ma”. In realtà, la vittoria più grande di Sinner in una stagione nella quale il nostro jedi tennista non ha fatto che vincere. Tant’è che alla fine la Wada è stata costretta (forse impaurita) a rincorrerlo per un patteggiamento che Jannik non voleva ma che ha fatto bene ad accettare, ché chissà dove avrebbe portato – e quanto sarebbe durato – un processo sulle responsabilità del proprio team.