Sinner e i suoi cloni, gli incubi di Djokovic: qualcuno inizia a ribellarsi

Mensik a 19 anni conquista Miami e rimanda il 100° trofeo del serbo, suo idolo. Jakub si aggiunge ad Alcaraz e Fonseca

“Chi sei tu?”. ”Il tuo incubo peggiore!”. Lo capisco Novak Djokovic, un tempo recitava nel ruolo di Rambo (tre, in questo caso), oggi la battuta migliore non spetta a lui, fa la parte di chi è costretto a porre la domanda e già sa che ne ricaverà una fraccata di legnate. L’età, si dice in questi casi, tenendo in sospeso la parola, ché tutti ne conoscono il significato e le inevitabili conseguenze. E sia! Ma lui sta bene, ha ancora voglia. E se non è più quello che dal 2011 al 2016 spianava i compagni di Top Ten neanche fosse una macchina asfaltatrice (ne piallò 138 in quei sei anni), niente ancora gli vieta di raggiungere la finale di un Masters 1000, quando gli avversari di grido si fanno da parte, e sognare in grande il suo centesimo titolo. Tutto ciò ha dell’incredibile per un tennista che presto festeggerà i 38 anni. Ma un problema c’è, forse l’unico, però grande. Più della sua stessa data di nascita. Si chiama Sinner, e continua a chiamarsi così anche se Sinner non c’è. Ci sono i suoi fratelli, di fatto, o i suoi cloni se vi va di chiamarli così. E cominciano a essere in tanti. Fateci caso, questo Sunshine Double appena concluso ha posto in vetrina Jack Draper, vincitore a Indian Wells su Holger Rune, e Jakub Mensik, che con due tie break ha sfilato il quarantunesimo Masters 1000 da sotto il naso di Nole. Jack, mancino alla Nadal (solo sul campo da tennis, dunque) è grande amico di Jannik e saltuariamente suo compagno di doppio. Ha sei mesi in meno di JS ed è salito al numero 7 della classifica.

 

"E pensare che volevo ritirarmi"

Ha detto più volte che Jannik è un’ispirazione. A batterlo nel secondo dei Sunshine, a Miami, con la solita regola dei due tie break, è stato proprio Mensik, in secondo turno. Jakub è più giovane, di anni ne ha 19 (ne compirà 20 il primo settembre), e il suo idolo è proprio Djokovic. Ma segue le orme di Sinner, non ne ha mai fatto mistero, e nel pacchetto c’è anche l’imperscrutabile serietà che Jannik dispone sul campo da gioco. Crescere giorno per giorno, studiare ogni particolare, migliorare sempre. Il credo è lo stesso. Resistere a tutto, anche alle sei ore di ritardo che ha subito la finale per via della pioggia. Un altro come lui, alla prime finale importante, si sarebbe sciolto come un’aspirina effervescente nell’acqua. Jakub invece è sceso in campo come nulla fosse. È andato avanti nel primo set, fino al 4-1, poi, ripreso, è sfuggito alla morsa di Nole e ha dominato il tie break. Nel secondo ha avuto palla break per primo, e al gioco decisivo ha lasciato Nole a distanza di sicurezza, per scrivere poi sulla telecamera “il primo di tanti altri”. “E pensare che stavo per ritirarmi prima del via di questo torneo. Avevo un problema al ginocchio, ma quando ho portato le carte firmate con la richiesta di ritiro al supervisor, non l’ho trovato, credo fosse a pranzo. A quel punto mi sono detto: provaci ancora… Sono tornato dai fisioterapisti e mi hanno rimesso a posto”. 

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La storia senza sorrisi di Mensik

Forte dentro, e indecifrabile. Nella storia del tennis, che io ricordi, gli unici cechi disposti a sorridere in campo furono Miloslav Mecir e Petr Korda, che da noi divennero presto, con una botta di fantasia che non vi dico, Gattone e Picchiarello. Ivan Lendl non sorrideva, mai, né da cecoslovacco né dopo, da americano, quando si fece annettere senza porre condizioni (grazie alla legge statunitense che porta il nome di un’altra grande cecoslovacca, Martina Navratilova). Jakub Mensik fa parte di questa storia senza sorrisi, sul campo assume un’espressione quasi catatonica, del tutto insensibile agli stimoli esterni. Ha due espressioni, si diceva una volta, una con la palla da tennis, l’altra senza. Sorride solo se vince, ma a Miami ha cercato di limitarsi. Per rispetto a Nole che lo volle a Belgrado per uno stage di allenamenti. “Era poco più di un bimbo, ma si vedeva che sarebbe diventato un giocatore vero. Sono contento per lui, meno, molto meno per me stesso, ma non ero al meglio. Ha vinto con merito, e tanto basta”. Non c’è posto migliore per un tennista della Cechia che nascere a Prostejov. Poco meno di 50 mila abitanti, non tutti tennisti ma pochissimi quelli che non abbiano mai pensato di provarci.

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I nuovi Fab Four del tennis

Siamo nella zona morava della Repubblica che da poco ha chiesto di essere chiamata solo Cechia, o Czechia o anche Česko come la chiamano loro, la piccola città è nota nel mondo per il centro tennistico che ha sfornato tutti i giocatori che abbiano portato la bandiera bianca e rossa con il triangolo blu in giro per il circuito, quelli di prima (dell’Era Open) e quelli di oggi, quelli sorridenti e quelli meno. Jakub è semplicemente uscito di casa e ha infilato la strada che porta al tennis. Ha cominciato a 5 anni, a 17 è diventato professionista, a 18 è stato finalista a Doha e a 19 ha già battuto otto volte un top ten (due Rublev, due Dimitrov e quest’anno Ruud a Melbourne, Draper, Fritz e Djokovic a Miami). Sinner non l’ha mai incontrato. Ma una domanda già si pone intorno a questa fratellanza fondata su amicizia, rispetto e clonazioni. Prima o poi questa congrega di smaniosi replicanti si ribellerà al capostipite, e sarà una nutrita rappresentanza di avversari da tenere a bada. Si dirà, sono i rischi che ogni fondatore (ma chissà se Jannik è consapevole di esserlo) è costretto a correre. Draper, Mensik e anche Joao Fonseca hanno le carte in regola. Con il suo 24° posto in classifica nuovo di zecca Mensik non è così lontano dai 19 anni di Sinner, che fu diciassettesimo. È una bella disfida. Con Sinner e Alcaraz i posti liberi per i nuovi Fab Four sono due. Ma attenzione. Si entra nel Club solo vincendo uno Slam. 

 

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“Chi sei tu?”. ”Il tuo incubo peggiore!”. Lo capisco Novak Djokovic, un tempo recitava nel ruolo di Rambo (tre, in questo caso), oggi la battuta migliore non spetta a lui, fa la parte di chi è costretto a porre la domanda e già sa che ne ricaverà una fraccata di legnate. L’età, si dice in questi casi, tenendo in sospeso la parola, ché tutti ne conoscono il significato e le inevitabili conseguenze. E sia! Ma lui sta bene, ha ancora voglia. E se non è più quello che dal 2011 al 2016 spianava i compagni di Top Ten neanche fosse una macchina asfaltatrice (ne piallò 138 in quei sei anni), niente ancora gli vieta di raggiungere la finale di un Masters 1000, quando gli avversari di grido si fanno da parte, e sognare in grande il suo centesimo titolo. Tutto ciò ha dell’incredibile per un tennista che presto festeggerà i 38 anni. Ma un problema c’è, forse l’unico, però grande. Più della sua stessa data di nascita. Si chiama Sinner, e continua a chiamarsi così anche se Sinner non c’è. Ci sono i suoi fratelli, di fatto, o i suoi cloni se vi va di chiamarli così. E cominciano a essere in tanti. Fateci caso, questo Sunshine Double appena concluso ha posto in vetrina Jack Draper, vincitore a Indian Wells su Holger Rune, e Jakub Mensik, che con due tie break ha sfilato il quarantunesimo Masters 1000 da sotto il naso di Nole. Jack, mancino alla Nadal (solo sul campo da tennis, dunque) è grande amico di Jannik e saltuariamente suo compagno di doppio. Ha sei mesi in meno di JS ed è salito al numero 7 della classifica.

 

"E pensare che volevo ritirarmi"

Ha detto più volte che Jannik è un’ispirazione. A batterlo nel secondo dei Sunshine, a Miami, con la solita regola dei due tie break, è stato proprio Mensik, in secondo turno. Jakub è più giovane, di anni ne ha 19 (ne compirà 20 il primo settembre), e il suo idolo è proprio Djokovic. Ma segue le orme di Sinner, non ne ha mai fatto mistero, e nel pacchetto c’è anche l’imperscrutabile serietà che Jannik dispone sul campo da gioco. Crescere giorno per giorno, studiare ogni particolare, migliorare sempre. Il credo è lo stesso. Resistere a tutto, anche alle sei ore di ritardo che ha subito la finale per via della pioggia. Un altro come lui, alla prime finale importante, si sarebbe sciolto come un’aspirina effervescente nell’acqua. Jakub invece è sceso in campo come nulla fosse. È andato avanti nel primo set, fino al 4-1, poi, ripreso, è sfuggito alla morsa di Nole e ha dominato il tie break. Nel secondo ha avuto palla break per primo, e al gioco decisivo ha lasciato Nole a distanza di sicurezza, per scrivere poi sulla telecamera “il primo di tanti altri”. “E pensare che stavo per ritirarmi prima del via di questo torneo. Avevo un problema al ginocchio, ma quando ho portato le carte firmate con la richiesta di ritiro al supervisor, non l’ho trovato, credo fosse a pranzo. A quel punto mi sono detto: provaci ancora… Sono tornato dai fisioterapisti e mi hanno rimesso a posto”. 

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