Musetti, il tennis più bello tra echi di Federer e lezioni d’umiltà 

Nessuno, oggi, al mondo è tennisticamente sublime come Lorenzo quando riesce ad abbinare la grazia innata alla concentrazione

Sinner è il più forte, il più continuo, il più concentrato, il più capace di capire i propri (pochi) errori e studiare i propri (pochissimi) limiti per riciclarli subito in ulteriori progressi. Ma è anche il meno coinvolgente sul piano emozionale. Berrettini è il più potente, fors’anche il più bello (per quanto de gustibus), ma è anche il più fragile, forse non solo fisicamente. Musetti è quello che più ti fa venire il nervoso, quello che a volte ti verrebbe da strozzarlo (con amore, chiaro): ma come gioca a tennis lui, diosanto! E non soltanto i nostri, cioè gli italiani, che adesso son tutti bravi e sanno vincere tornei importanti (Cobolli e Darderi gli ultimi, prima Sonego, in futuro magari anche Arnaldi e Bellucci, o forse Cinà, chissà). Nessuno, oggi, al mondo è tennisticamente sublime come Lorenzo Musetti quando riesce ad abbinare la grazia innata alla concentrazione su cui si sta esercitando, all’umiltà che sta coltivando, alla maturità che sta raggiungendo (anche sul piano personale, da giovane padre di famiglia), alla calma di cui non è mai stato maestro (eufemismo). Nessuno. Né i nuovi fenomeni che avanzano (Fonseca, Mensik, Draper), né i vecchi che provano a tenere botta (Djokovic) né gli altri che come lui giocano quella delizia che è il rovescio a una mano, peraltro sempre più in via d’estinzione (Dimitrov, Gasquet, Wawrinka).

Musetti, il più figo di tutti

L’ultimo così figo, il più figo di tutti, si è già estinto: si chiamava Federer e non a caso Musetti a lui si ispira persino nella postura del piede quando serve. L’altro giovane top player che ha resistito alla tentazione demoniaca del bimane è Tsitsipas: venerdì Lorenzo lo ha tritato di palline e pallette meraviglia. Ieri è toccato a De Minaur, fighter come solo gli australiani sanno essere. Uno che per batterlo non bastano le pallate; e infatti. Lo ha fatto a fettine, Muso. Seppur non disdegnando le bordate di dritto, specie quei cross dalle angolazioni contro la fisica, alternate a smorzate coperte e lob difensivi che di colpo diventano attacco imparabile, ma se è il caso vanno bene anche quelli spezza-ritmo, per far venire all’avversario la voglia di chiudere con un vincente che magari finisce sulle tribune o s’affloscia in rete. È riemerso nuovamente, con pazienza («resilienza», l’ha definita il coach “papà” Tartarini, che gli sta insegnando e gestire l’emotività oltre alla classe che ogni tanto rischia di deragliare nella pigrizia operativa), da un avvio a luci spente, da un primo set subito smarrito per eccesso di fregola, quella smania di mostrare al mondo che nessuno la tocca come lui e che, secondo lui, dovrebbe bastare a vincere per diritto divino. E invece no.

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L'ultimo successo italiano a Montecarlo

Nel contempo però - e qui sta la crescita mentale - il vecchio Musetti su quelle false partenze si sarebbe arenato; avrebbe cominciato a sparacchiare di qui e di là, a muzzo, e a smadonnare, come spesso capitava a Fognini, l’ultimo italiano a conquistare Montecarlo (sei anni fa), il miglior braccio naturale del nostro tennis moderno ma anche il più vulnerabile ai deficit di nervi. E invece, pure qua, no. Sulla terra, dove il servizio devastante (quello che ancora gli manca) aiuta sempre tanto ma è meno decisivo, tanto che i giocatori da una botta e via spariscono ai primi turni o addirittura manco si presentano, Musetti sa che può sempre rimettersi in gioco. Resettando la testa, le presunzioni, le frustrazioni, i fantasmi del passato. Ripiazzarsi lì, magari un paio di metri più avanti, magari avanzando quando può chiudere il punto senza bisogno di sbracciare a settecentoventi gradi d’apertura dai teloni di fondo campo, e ricostruire punto dopo punto quello che temeva di aver sbriciolato e fino a qualche tempo fa mai più avrebbe ricomposto.

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La finale con Alcaraz

Oggi, all’atto finale, avrà di fronte Alcaraz. Un altro che ogni tanto si smarrisce nei suoi raptus da fenomeno invincibile (cosa che nessuno è, non solo a tennis) e che smarrisce la pazienza, l’equilibrio tra potenza e precisione, la sapienza della tattica. Non ha (mai avrà) il fisico di Carlitos, Lorenzo. Ancora non ha la sua garra nadaliana. Ma ci sta lavorando. Carlitos però non ha la mano, né il rovescio, di Lorenzo. Per averli, forse non gli basterebbe lavorarci altri vent’anni. Non per niente, tre anni fa, nella finale di Amburgo, sempre sul rosso, gli passò di sopra. E Alcaraz stava per diventare il numero 1 al mondo più giovane di sempre. Rifagli vedere come giochi a tennis, Lore. A Muso duro. Durissimo.  

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Sinner è il più forte, il più continuo, il più concentrato, il più capace di capire i propri (pochi) errori e studiare i propri (pochissimi) limiti per riciclarli subito in ulteriori progressi. Ma è anche il meno coinvolgente sul piano emozionale. Berrettini è il più potente, fors’anche il più bello (per quanto de gustibus), ma è anche il più fragile, forse non solo fisicamente. Musetti è quello che più ti fa venire il nervoso, quello che a volte ti verrebbe da strozzarlo (con amore, chiaro): ma come gioca a tennis lui, diosanto! E non soltanto i nostri, cioè gli italiani, che adesso son tutti bravi e sanno vincere tornei importanti (Cobolli e Darderi gli ultimi, prima Sonego, in futuro magari anche Arnaldi e Bellucci, o forse Cinà, chissà). Nessuno, oggi, al mondo è tennisticamente sublime come Lorenzo Musetti quando riesce ad abbinare la grazia innata alla concentrazione su cui si sta esercitando, all’umiltà che sta coltivando, alla maturità che sta raggiungendo (anche sul piano personale, da giovane padre di famiglia), alla calma di cui non è mai stato maestro (eufemismo). Nessuno. Né i nuovi fenomeni che avanzano (Fonseca, Mensik, Draper), né i vecchi che provano a tenere botta (Djokovic) né gli altri che come lui giocano quella delizia che è il rovescio a una mano, peraltro sempre più in via d’estinzione (Dimitrov, Gasquet, Wawrinka).

Musetti, il più figo di tutti

L’ultimo così figo, il più figo di tutti, si è già estinto: si chiamava Federer e non a caso Musetti a lui si ispira persino nella postura del piede quando serve. L’altro giovane top player che ha resistito alla tentazione demoniaca del bimane è Tsitsipas: venerdì Lorenzo lo ha tritato di palline e pallette meraviglia. Ieri è toccato a De Minaur, fighter come solo gli australiani sanno essere. Uno che per batterlo non bastano le pallate; e infatti. Lo ha fatto a fettine, Muso. Seppur non disdegnando le bordate di dritto, specie quei cross dalle angolazioni contro la fisica, alternate a smorzate coperte e lob difensivi che di colpo diventano attacco imparabile, ma se è il caso vanno bene anche quelli spezza-ritmo, per far venire all’avversario la voglia di chiudere con un vincente che magari finisce sulle tribune o s’affloscia in rete. È riemerso nuovamente, con pazienza («resilienza», l’ha definita il coach “papà” Tartarini, che gli sta insegnando e gestire l’emotività oltre alla classe che ogni tanto rischia di deragliare nella pigrizia operativa), da un avvio a luci spente, da un primo set subito smarrito per eccesso di fregola, quella smania di mostrare al mondo che nessuno la tocca come lui e che, secondo lui, dovrebbe bastare a vincere per diritto divino. E invece no.

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