Il Professor Giuseppe Vercelli è una vera e propria autorità in materia di psicologia applicata allo sport e alla prestazione. Psicologo e psicoterapeuta, insegna Psicologia presso la Scuola universitaria interfacoltà in scienze motorie dell’Università di Torino, dove dirige l’Unità operativa in psicologia dello sport. Appassionato studioso dell’ipnosi costruttivista, profondo conoscitore dell’opera junghiana e della psicologia transpersonale, si occupa da molti anni di psicologia della prestazione umana applicata al potenziamento del sé e al cambiamento in ambito terapeutico, organizzativo, sportivo, manageriale e personale. Nel tennis ha seguito l’ex numero 3 del mondo Milos Raonic e ora la speranza lombarda Mattia Bellucci, nello scorso febbraio semifinalista nel 500 ATP di Rotterdam.
Si dice spesso che l’aspetto mentale nel tennis sia fondamentale. Quanto lo diventa in una partita di oltre cinque ore come la finale tra Sinner e Alcaraz?
«Tantissimo, si parla molto di resilienza in questo periodo. La mente ha bisogno di competenze e per questo parliamo di efficacia mentale, intendendo la presenza contemporanea della forza e della resistenza mentale. Sinner le ha entrambe, al pari del suo rivale spagnolo».
Il primo set è durato oltre un'ora. A cosa pensa un giocatore quando si rende conto che per vincere dovrà affrontare una vera e propria battaglia?
«Entrambi ne erano consapevoli, anche in ragione dei precedenti e non possono essersi stupiti per questo. I principi per affrontare situazioni del genere sono sempre gli stessi, ovvero giocare punto dopo punto pensando solo alla prestazione, senza fare riferimenti al prima o al dopo. Un’altra cosa mi impressiona dei campioni assoluti alla cui categoria appartengono Sinner, Alcaraz e prima di loro Djokovic. Quando commette un errore il campionissimo non lo deve giudicare, perché questo significherebbe farlo anche nei propri confronti, ma descriverlo. Quindi focalizzarsi sulla sua soluzione. Jannik in finale ha peccato un po’ a mio parere in questo senso, soprattutto in alcuni momenti nei quali avrebbe potuto chiudere la partita. Una cosa per lui inusuale».
Sinner è salito due set a zero. È normale un rilassamento in questa situazione?
«Non direi che si sia rilassato, piuttosto che ha speso più del previsto per arrivare a quel punto. Il suo avversario piano piano è entrato nella sua zona ideale e ha recuperato. Sinner, come dicevo prima, nella circostanza si è dato un leggero giudizio».
Quando ci si vede recuperati cosa bisogna fare e cosa rimane nella mente di un giocatore quando non concretizza le occasioni?
«Occorre rimanere concentrati sul presente senza tornare al passato o guardare al futuro. Se non si riesce a fare questo può generarsi dell’ansia, prendere forma il cosiddetto “braccino” e si può cadere nell’errore. Sarà in ogni caso lo stesso Sinner a farsi la domanda e trovare la risposta adeguata. Siamo davanti ai massimi livelli dello sport e a suoi interpreti assoluti».