C’è ancora magia, su quella terra rossa stretta fra il bosco di Boulogne e il complesso delle serre in stile liberty, e non credevo fosse possibile, non dopo i quattordici titoli vinti da Rafa Nadal. Ci sono nuove emozioni da scoprire, nuove inquadrature da ammirare, e l’eterno incanto della bellezza che continua a sorgere con il sole del mattino e a illuminare tutto di sé. Sbagliavo, non era un capitolo chiuso, non bastava ripetermi che nessuno sarebbe stato più come Rafa, e dare per scontato che nessun altro avrebbe potuto ricondurmi a quello stato di pura sospensione che avvertivo nel sentirmi trascinato verso i Campi Elisi del mio sport preferito, là dove si gioca a tennis come in paradiso. La finale di domenica tra Alcaraz e Sinner mi ha riportato a quegli antichi pensieri, a quei contrasti, all’idea che due nuovi rivali, destinati a diventare amici come Rafa e Roger, fossero in grado di ricondurre il tennis alla sua fase creativa più alta ed essenziale, quella che nasce dal contrasto degli elementi in campo, degli stili, delle opposte strategie. La magia di Nadal e Federer, che congiunse le due opposte metà di un tennis agli antipodi, per dare vita a un insieme unico e inscindibile, perfetto e rotondo come una pallina, ha ripreso a vivere nella finale tra Alcaraz e Sinner, geni opposti di uno sport che vuole ancora stupire. Ed è stata la finale più bella che potessi immaginare, estenuante e intricata, edificata su colpi geniali portati a una velocità impressionante. I Fedal sono andati in pensione, evviva i SinAl, che a lungo si sono rincorsi, per trovarsi nella loro prima finale dello Slam. Da domenica, il tennis è tutto per loro.
