Applausi contenuti, con una mano sola, che batte sulla coscia. L’altra serve a evitare che la cuccuma con dentro qualcosa di pasticciato possa spargersi sui regali scranni. Pasticcio di pollo a tutti gli effetti, royal chicken. A Wimbledon tutto è “royal”, a cominciare dal box dei titolati, che si nota per i disegni a fiori sui vestiti delle dame, simili alle tende di Buckingham Palace, e per certe arditissime acconciature che sembrano building a quattro piani, e occorre una troupe esperta in edilizia acrobatica per pettinarle. L’erba, poi, è royal per principio, perché solo un giardino del re potrebbe permettersi di far giungere le sementi da ogni parte del mondo, per intrecciarle, provarle e stabilire ogni anno la semina migliore.
Dal loglio, alla poa pratensis, alla segale (80 per cento) di questi ultimi anni, sugli steli del Centre Court c’è scritta la storia del torneo. «Un bel posto» disse la regina Elisabetta, in una delle sue rarissime apparizioni a Wimbledon, «peccato che questo sport non si possa giocare a cavallo». Il duca di Kent, proprietario dei terreni su cui sorge l’impianto di Church Road, ci pensò un po’ sulla regale sortita, radunò i giardinieri per chiedere lumi: ma un cavallo sul Centre Court… È proprio impossibile? Gli mostrarono le foto di un tempo, quando i cavalli entravano davvero sui campi per aiutare il lavoro, con le loro brave pattine a mo’ di calzino sopra gli zoccoli, per non rovinare l’erba. Il duca comprese: chiedere ai reali di cavalcare un cavallo con i calzini, non avrebbe migliorato i suoi rapporti con la Casa Madre.