Siamo tutti Fognini, cantore del tennis

Roma si esalta per l'ultimo degli imprevedibili dopo Federer: "Sento i colpi, il gioco mi piace e allarga il cuore più che vincere"
Siamo tutti Fognini, cantore del tennis© FOTO ANDREA ROEITO-AG ALDO LIVER

Siamo tutti un po’ Fognini. È su uno striscione, lo sollevano in quattro, e pone una domanda seria. Lo siamo? Forse sì, ognuno a modo proprio, ma tutti un po’ come lui, che per la proprietà transitiva è un po’ come noi. «L’arte non è un mestiere - avvisava Jean Renoir, regista e scrittore francese -, ma la maniera in cui si esercita un mestiere». Avvisate di come stanno le cose il buon Miomir, che sembra la terza generazione di un formaggino, e anche gli altri, Sinner che ha sempre fretta di far bene, e Thanasi Kokkinakis, che gioca da tanto e ancora non ha capito come deve giocare. Anche loro, che con Fabio fanno da perno al nostro quadrilatero di giornata, tutto italiano, zeppo di buone cose, di sensazioni positive che si spingono fin dentro la seconda settimana del torneo, sono un po’ come Fognini. Perché la vita filtrata dal tennis non è troppo diversa da quella che ci tocca ogni mattina che apriamo gli occhi ai primi bagliori della luce del giorno. È insidiosa, e fa venire i nervi. È tormentata, ma concede riscatti che riempiono di speranza. È generosa e d’improvviso non lo è più, ma merita di essere affrontata, sempre, per risalire, convinti, inesausti. È ciò che sta facendo Fabio, forse il cantore del “life tennis” che più abbia svelato se stesso in questi anni trascorsi a caccia di una propria dimensione, per poi trovarla al centro di una famiglia che conta su affetti seri e si allarga agli amici che ne condividano la storia e la filosofia. Di sicuro, l’ultimo dei tennisti imprevedibili, dopo l’uscita di scena di Federer.

Fognini al terzo turno agli Internazionali d'Italia

È in terzo turno, come Sinner, e come lo sarà oggi uno tra Musetti e Arnaldi che si affrontano in un derby tra ragazzi amici di Fognini, che vale molto per il Matteo di Sanremo, già da tempo inserito nella scuderia manageriale di Fabio. Una vittoria porterà il nuovo Top 100 dritto nel tabellone di Wimbledon, senza pagar dazio nelle qualifiche. Ma Musetti punta in alto, ha voglia di tennis da campioni. Come Sinner. Come Fognini in avvio di carriera, mentre oggi si lascia intervistare mano nella mano del figlio Federico, l’altra poggiata sulle spalle di Barazzutti, tornato da quest’anno a fargli da coach. «Gioco un tennis che mi piace, che mi mette di buonumore. Mi sento sui colpi, so dove mandare la palla. Vincere è importante, ma certe sensazioni mi dicono che mi sono ritrovato, che sono ancora io, e questi sono messaggi che mi allargano il cuore più della stessa vittoria». Coach Konrad gli fa da sponda: «Vedere il match con Flavia Pennetta e Francesca Schiavone, mi ha invecchiato di altri quindici anni. Mi sembra di averne centodue, ormai. Però sono felice, perché Fabio ha giocato talmente bene che se il match avesse preso strade diverse sarebbe stata un’ingiustizia». Il secondo set al tie break qualche brivido l’ha concesso, è nella norma. Ma sul match point, il quarto dopo i primi tre cancellati da Miomir Kecmanovic, Fabio ha spolverato tutti gli angoli del campo e chiuso con un dritto lungo linea sulla riga bianca, da grande architetto del tennis. È l’immagine del suo match. E della sua voglia di rivivere le antiche sensazioni mai sopite. Erano tre anni che non vinceva due match al Foro.

Anche Sinner al terzo turno degli Internazionali d'Italia

Parlano tutti con il cuore, e anche Sinner ne disegna uno, piccolo e timiduccio, sullo specchio della telecamera. Si allenava da giorni, e aveva fretta di misurarsi in partita. Lo si è intuito quando è apparso sul campo, il sorriso di chi non vedeva l’ora. Non è stato solo un ingresso, Jannik si è avventato sul match. Nei primi tre game Thanasi Kokkinakis non ha fatto un solo punto. Nel primo set ne ha totalizzati sette. Nel secondo gli è giunto il consiglio di forzare tutto il possibile, a cominciare dal servizio, e l’ha fatto. Ha tenuto meglio il proprio turno di battuta, ma sul tre pari, Sinner ha martellato di brutto sugli angoli e Thanasi ha capito l’antifona. Si è fatto di lato, ha lasciato sfilare la Ferrari che lo incalzava da dietro a velocità doppia della sua, e ha fatto una pausa all’autogrill. Non è un ragazzo fortunato, Thanasi. Ha avuto mille infortuni, non ha giocato per due anni buoni, era annunciato come uno dei giovani più forti, della nidiata del Novantasei, e invece era solo l’amico del più forte, Nick Kyrgios. Manco lo guidano al meglio, poi. Gli dicono «vai e picchia», e lui quello fa. Con uno del genere, Sinner ci va a nozze. Thanasi picchiava, l’altro gli rispediva coppie di lavandini e intere vasche da bagno con tutti i tubi. «Non vedevo l’ora - racconta Jannik -. Rientro da un infortunio, e avevo fretta di capire quali sarebbero state le mie reazioni in partita. Tutto bene, direi. Thanasi ha allungato il match nel secondo set, e mi ha impegnato di più, proprio come speravo». Si va avanti, per Fognini c’è Rune, il terzo incomodo tra Sinner e Alcaraz. Sinner ha il russo Alexander Shevchenko, da poco entrato nei primi cento. Alcaraz debutta con Ramos Vi?olas. «Non ho mai giocato a Roma, ma sono estasiato dal pubblico, partecipa al match come fosse anche lui in campo. Albert è un amico, ed è stato anche il mio primo rivale nel Tour Atp. Vinsi il match ed ero felice come non mi era mai successo. Ora i rivali sono tanti, ma ognuno di noi il primo lo porta con sé, ce l’ha dentro». Filosofo? Macché. Semplicemente, anche lui, è un po’ come Fognini.

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