TORINO - Dal prestito richiesto al Coni per pagare gli stipendi, «mai utilizzato per fortuna» e 110 cause di lavoro alle Nitto Finals a Torino, con il pienone, la crescita del fenomeno padel, tennisti da top 20, giovani emergenti che arrivano tra i primi 100 e premono alle porte del paradiso, gli Internazionali di Roma tra i top Masters 1000. E Jannik Sinner. Il presidente della Fitp Angelo Binaghi non può non essere orgoglioso, ma avverte tensione: «Quella positiva». E oggi non potrà assistere al debutto del n. 4 del mondo, perché con un volo privato raggiungerà Siviglia dove le clamorose azzurre sono approdate a sorpresa in finale.
Binaghi, le prime impressioni dall’arrivo a Torino trasformata in capitale del tennis?
«Vedere così tanta gente in giro mi riempie di soddisfazione. Ricordo il primo anno, quando qualcuno diceva di avere avuto la disgrazia di perdere un terzo delle Olimpiadi invernali (e io sorridevo) e chi il secondo anno diceva “sì ma”. Al terzo anno sono tutti letteralmente impazziti per quello che un po’ prima avevamo capito potesse succedere: il combinato disposto Finals-risultati sportivi dei nostri ragazzi che crescono di anno in anno e non si fermano è trascinante. Non c’è rammarico di dire che all’inizio non tutti a Torino avevano percepito la fortuna capitata alla città, non tutti avevano valutato la grande fortuna di perdere un terzo di queste per ora problematiche Olimpiadi invernali per avere almeno 5 edizioni di Nitto ATP Finals. Provo invece soddisfazione che il tennis e i successi del movimento stiano conquistando tutto e tutti».
Lei dovrebbe avere il dono dell’ubiquità in questi giorni, viste le imprese delle azzurre a Siviglia.
«Finora è stato un peccato non essere anche lì, ma come facevo a lasciare Torino in questo momento di entusiasmo epidemico? Prenderò un volo privato a sarò a Siviglia per abbracciarle, comunque vada la finale. Una stagione ottima delle ragazze si è trasformata in clamorosa. Credo che nemmeno loro avrebbero scommesso sulla finale, 10 anni dopo quella 2013».
Annesso il padel, lanciato il pickleball, ora lei pensa anche allo squash avviato all’ingresso nei Giochi. Non si ferma mai?
«Perché fermarsi? L’esperienza genera anche idee. Ma tengo a precisare: laddove dovessimo fare qualcosa con lo squash, lo faremo azzerando tutto e creando un soggetto nuovo, una nuova federazione. È l’ipotesi su cui stiamo lavorando. Il presupposto è che quanto noi abbiamo realizzato finora contenga strumenti, penso a Supertennis tv, che siano facilmente replicabili in altri sport similari come fatto già nel padel. E che possano creare sviluppo in altri sport di racchetta. Tutto sulla base di uno studio fatto in Usa secondo il quale un terzo di quelli che praticano sport di racchetta in prospettiva ne praticheranno un altro. Pensiamo di creare una forte aggregazione, un polo che possa competere sul mercato con gli sport con i palloni, nei confronti dei i quali vent’anni fa anche il tennis soccombeva in termini di visibilità, accesso alla scuola dell’obbligo, popolarità. Adesso che il tennis ha da apripista è giusto e utile, anche per il tennis a mio avviso, riprodurre il sistema».
Insomma la Fitp ha una visione prospettica. Le altre federazioni italiane meno?
«Direi che siamo diversi e antitetici. Tutto il sistema sportivo italiano è basato sull’assistenzialismo: questo a partire dalle regole rappresentative che assegnano i voti, passando alla distribuzione dei contributo. Lo scorso anno si era passati dal soggettivo al contributo oggettivo, ora si continua a dire che nessuno possa percepire meno di quanto preso in passato, dunque si torna al soggettivo. Questo arreca un danno grave ai cittadini. Lo sport non è delle federazioni, è dei cittadini. L’obiettivo è far praticare più sport a più gente possibile, non tenere in vista federazioni che hanno possibilità di sviluppo. Quando siamo arrivati venti e più anni fa nel tennis, la crisi era evidente, però ci si nascondeva dietro il terzo posto per Nazioni grazie ai risultati della squadra di Coppa Davis. Essere vincenti dovrebbe essere la conseguenza di aver creato una base sempre più larga. Invece accade il contrario. Quando Schiavone ha vinto Roland Garros non conquistammo una sola tessera in più. Rispettiamo chi la pensa diversamente da noi, ma andiamo per la nostra strada. Per attaccarci ci hanno detto che non siamo più una federazione, ma un’azienda. Io lo prendo come un complimento passare da carrozzone pubblico assistenzialista a sistema efficiente. Noi premiamo solo società e comportamenti virtuosi, giocatori meritevoli, investiamo in tutto ciò che pensiamo possa dare contributo alle nostre discipline e al Paese».