
Alla fine, l’Orso Medvedev c’è andato vicino. E ne ha ricavato, per ora, una veste da divinità minore, forse non quella che riteneva gli spettasse, tale però da garantirgli nuove speranze. E come diceva Georges Bernanos, autore del “Diario di un curato di campagna”, «la speranza è un rischio da correre». Il problema è quello di sempre, quando ti avvicini troppo, gli dei ti puniscono. Lui, l’Orso, ci ha provato con Djokovic, gli ha sbriciolato il sogno del Grande Slam, e ha pensato di aver guadagnato una promozione definitiva. Da quel giorno, era il 12 settembre del 2021 e gli US Open il torneo, Daniil non ha vinto più uno Slam. E se ha voglia di chiedersi il perché è bene legga Erodoto, quel passaggio relativo all’invidia degli dei e alla loro artistica concezione delle punizioni esemplari. Cambiano il colore delle vele alle navi di ritorno a Capo Souniou (causando il suicidio di Egeo, re di Atene) ti inondano il paese di cavallette, ti soffiano nelle orecchie strani pensieri su che cosa combini tua moglie quando sei via, nei panni di un’etera alquanto spensierata.
La sfortuna di Medvedev
Niente di tutto questo ha dovuto subire Medvedev, ma un bel po’ di sconfitte brucianti era il minimo. È stato finalista a Melbourne nel 2022, ciancicato da Nadal al quinto dopo aver comodamente condotto due set a zero, e agli US Open di quest’anno, passato a ferro e fuoco dalla vendetta del Djoker. Non ha più vinto nemmeno le Finals, che aveva conquistato nel 2020, annunciando al mondo che l’anno a seguire sarebbe stato il suo. Giunse al numero uno, infatti. Sedici settimane nel corso del 2022. Rilevato da Alcaraz. Poi da Djokovic. Che è tornato a dominare e presto festeggerà le 400 settimane lassù, sulla vetta.
