L'insegnamento di Sinner dopo la straordinaria cavalcata alle Nitto ATP Finals

La nuova cultura sportiva promossa dall'azzurro dove la sconfitta è sinonimo di momento di crescita
L'insegnamento di Sinner dopo la straordinaria cavalcata alle Nitto ATP Finals© Getty Images

Abbiamo un campione, godiamocelo. E godiamoci una nuova cultura sportiva, in cui la sconfitta è momento di crescita e riconoscimento della forza dell’avversario. Jannik Sinner deve ancora imparare a battere Novak Djokovic quando, come ieri sera, incarna la perfezione tennistica, ma può insegnarci a essere sportivi migliori. Lui ci riuscirà di sicuro, a confrontarsi alla pari con il Nole migliore (lo ha dimostrato nel settimo game del secondo set, quindici minuti di orgoglio, talento e forza di volontà che, per un attimo, hanno fermato quella macchina da guerra con la maglietta verde). Noi possiamo provarci, a educare meglio il nostro tifo, forti anche della certezza che la domanda non è più: Jannik giocherà mai come Nole? Bensì “quando”. È solo una questione di tempo. Per ora, la mostruosa infallibilità del fenomeno serbo non lascia spazio ai sogni, nemmeno quello di una città e di un Paese che si sono fermati per sperare in un miracolo e hanno sbattuto contro un muro, conservando tuttavia la speranza perché Sinner è una realtà e lo ha certificato battendo Djokovic nella sua versione umana, martedì sera.

Djokovic, il miracolo del terzo millennio

L’altro Djokovic, quello di ieri e di sabato contro Alcaraz, è semplicemente uno dei più formidabili atleti di tutti i tempi, non ha difetti, non ha punti deboli, è imbattibile. Cosa si può fare? Combattere con onore, poi inchinarsi con la soddisfazione sportiva di confrontarsi con un tennista che ha stabilito e stabilirà record ineguagliabili. E poi, sinceramente, è difficile volere male a Nole. Parla italiano benissimo, ha una sua umanità che riesce a derobotizzarlo quando finiscono le partite, è perfino simpatico quando battibecca con il pubblico torinese, cui nonostante tutto è legato da un rapporto intenso. Inoltre, a 36 anni, con un palmares che a scorrerlo su wikipedia ci si sloga il pollice, dimostra la stessa energia, voglia di vincere, soffrire, migliorarsi del suo avversario ventiduenne. Sì, Djokovic è un altro di quei miracoli del terzo millennio che allunga le vite sportive dei fenomeni (da Ronaldo alla Pellegrini, c’è un lungo elenco di atleti che spostano molti anni più in là il limite della vecchiaia sportiva). È un meccanismo che cambia la narrazione e che frustra il ricambio generazionale, bruciando talvolta dei talenti. Non sarà il caso di Jannik Sinner, che ha il tempo dalla sua parte, oltre che un talento infinito e una nazione che in una settimana si è innamorata di lui.

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