Sinner, Wada ormai isolata: ma c’è il rischio di una polemica senza fine

Le vicissitudini di questa stagione lo hanno fatto diventare un campione maturo, capace di vincere oltre ogni aspettativa

TORINI - Ragazzo a Melbourne, uomo a New York con il trofeo degli US Open tra le braccia, mi chiedo se alle Finals troverò un Sinner un po’ invecchiato… Quella che sembra una battuta ha in realtà solide argomentazioni per non passare come una facezia. In effetti è una Sentenza, anzi una Sententia, una delle settecento, non più lunghe di un rigo, che Publilio Siro, schiavo, liberto, infine autore di testi teatrali nella Roma di Cesare radunò in un volume chiamato, per l’appunto, “Sententiae”, frasi che un attore avrebbe potuto piazzare a conclusione di una scena per reclamare attenzione, consenso, applausi. E dice: la vita in sé è breve, ma i mali la fanno allungare. Riferita a JS appare abbastanza chiaro dove si stia andando a parare. Non mi fido di ciò che stanno architettando i signori della Wada. Sono politici e burocrati, non riesco a cancellarlo dalla mente, e mi chiedo a che cosa serva una nuova sentenza quando tutte le parti in causa, Wada compresa, sono concordi su un aspetto che, forse sbagliando, io stesso ritenevo centrale in un processo sul doping, cioè la reale intenzione di doparsi, cosa che a Sinner non è passata nemmeno per l’anticamera del cervello.

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Sinner e l'arte di vincere su se stesso

E allora di cosa stiamo discutendo? Di un processo per non aver commesso il fatto? Sinner ha approfittato dei disagi per crescere. Le sue perle sparse nell’arco della stagione hanno cucito una collana preziosa, potente come un talismano. Vincere è un altro sport. Non lo scrive Publilio Siro ma è perfettamente vero. Per farlo (così bene, così spesso), occorre uscire dalla propria zona di comfort e mettersi in discussione, in ogni momento, in ogni match. È più di un lavoro, occorre sdoppiarsi per condurlo in porto. In questo caso Publilio Siro che fin qui ha svolazzato felice su queste righe ci è ancora di conforto. Scrive: vince due volte chi, nell’ora della vittoria, sa vincere su se stesso. È esattamente ciò che Jannik ha mostrato di saper fare così bene in questa stagione, riuscendo sempre a ricaricare le batterie per ripartire, ad annullare i presagi funesti puntando dritto sugli obiettivi che più contano e caratterizzano la stagione, rendendosi sempre più riconoscibile. “Il ragazzo che ci mette il cuore qualsiasi cosa faccia”, si legge sui social, che con lui stanno rinunciando, almeno per il momento, a dare battaglia (l’unica accusa che risuona è indirizzata ai media, “che ne stanno facendo un santino”). “Forte perché si mette sempre in discussione”. “Più vince più mette in evidenza quanto sia indispensabile al tennis”. Un monito, quest’ultimo, anche per chi lo vorrebbe liquidare senza troppe storie.

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Il popolo di Sinner

Se l’obiettivo è questo, la Wada rischia di alimentare un periodo di polemiche infinite. Al terzo anno di reciproca conoscenza (JS non c’era nella prima stagione delle Finals torinesi), dopo averlo scoperto, giovanissimo, nel 2022, raggiungere il match point contro Medvedev - che a quel tempo si permetteva di fare lo “sborone”, sbadigliandogli sul naso, a significare che il tennis di Sinner gli apparisse più che noioso - e averlo scortato fin quasi alla vittoria l’anno scorso, fallita contro un Djokovic ancora in grado di produrre qualche cambiamento di velocità nei suoi colpi e nel palleggio, Sinner e il pubblico torinese sono diventati amici. Ci sono gli elogi urlati, le pacche sulle spalle, i battimani, i cori e qui e là qualche proselito l’hanno fatto anche i Carota Boys, ma il rapporto tra Sinner e la sua gente, “il suo popolo”, sembra puntellarsi sul ringraziamento, per aver dato all’Italia un nuovo campione destinato a finire nella lista degli indimenticabili. E quest’anno, che pure aveva al centro i Giochi Olimpici, ne ha promossi tre appena: Duplantis, Pogacar e Sinner.

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Sinner e Alcaraz sulla scia dei Fedal

Sarà una mia impressione, ma quando la gente si avvicina a Sinner, sembra lo faccia con un rispetto particolare, senza essere mai sguaiata, senza pretendere l’autografo, senza spinte, senza alzare la voce. E le pacche sulle spalle tornano a essere incitamenti, scambio di umano calore, di positive energie. Un clima che npn sarà sfuggito ai suoi genitori, che ieri passeggiavano nel centro di Torino. È presto per dire se JS vincerà anche questa sfida che oggi incomincia contro De Minaur. E poi la successiva, in Davis a Malaga. Il sorpasso di Zverev in classifica sul numero due Alcaraz, e un buon sorteggio hanno evitato che i confronti con il ragazzo di Murcia divorassero il resto del programma. Se i due, i SinAl, fossero finiti nello stesso Gruppo delle Finals, è probabile che gli scontri diretti sarebbero stati tre in due settimane, due a Torino e uno a Malaga. Meglio così… Perso Djokovic, Zverev deve farsi carico del ruolo di terzo incomodo, ma Jannik e Carlitos devono mantenere vivo l’affetto stuporoso del pubblico. Devono darci dentro, le sfide sono fatte così, e quelle dei due nuovi Fedal sembrano destinate a durare a lungo.

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TORINI - Ragazzo a Melbourne, uomo a New York con il trofeo degli US Open tra le braccia, mi chiedo se alle Finals troverò un Sinner un po’ invecchiato… Quella che sembra una battuta ha in realtà solide argomentazioni per non passare come una facezia. In effetti è una Sentenza, anzi una Sententia, una delle settecento, non più lunghe di un rigo, che Publilio Siro, schiavo, liberto, infine autore di testi teatrali nella Roma di Cesare radunò in un volume chiamato, per l’appunto, “Sententiae”, frasi che un attore avrebbe potuto piazzare a conclusione di una scena per reclamare attenzione, consenso, applausi. E dice: la vita in sé è breve, ma i mali la fanno allungare. Riferita a JS appare abbastanza chiaro dove si stia andando a parare. Non mi fido di ciò che stanno architettando i signori della Wada. Sono politici e burocrati, non riesco a cancellarlo dalla mente, e mi chiedo a che cosa serva una nuova sentenza quando tutte le parti in causa, Wada compresa, sono concordi su un aspetto che, forse sbagliando, io stesso ritenevo centrale in un processo sul doping, cioè la reale intenzione di doparsi, cosa che a Sinner non è passata nemmeno per l’anticamera del cervello.

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