Pagina 2 | Alcaraz, cinque su cinque: meglio di Nadal. E con Sinner capita spesso...

Vincevano e facevano casino, i bimbi del tennis. Quelli di una volta, almeno. Ma oggi è diverso. Sono cambiati i bimbi, di sicuro. E anche il tennisMichael Chang si fece conoscere a diciassette anni, e per eliminare Ivan Lendl nei quarti a Parigi gli rifilò un perfido servizio dal basso. Boris Becker alla stessa età si prese Wimbledon paragonandosi a un carro armato. Gli spiegarono che certi paragoni era meglio metterli da parte, tanto più per un tedesco. E poi, si erano mai visti dei carri armati tuffarsi sulle volée come amava fare lui, lasciando buche per tutto il Centre Court? Oggi i bimbi che vincono sono professionali, composti, sanno ciò che vogliono e hanno una cultura dell’allenamento, del sacrificio, della fatica che fa onore. La differenza sta nel fatto che quelli di prima li guardavi e sembravano ancora bambini, quelli di oggi li scopri già uomini, anche se non hanno storie da raccontare, dato che ancora non le hanno vissute.

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Roland Garros

Cinque su cinque per Alcaraz

Amano tutti però cominciare dai piani alti del tennis, quasi l’assalto alle rocche del potere appartenga a un dna speciale, riservato ai campioni, e il confronto con la Storia batta nei loro petti come una pulsione insopprimibile. È successo allo stesso modo a Carlos Alcaraz, che di anni oggi ne ha ventidue ed è alla sua quinta conquista di un titolo Slam in cinque finali giocate. Us Open, due volte Wimbledon e due il Roland Garros. Gli mancano gli Australian Open per completare il Career Grand Slam, ma quelli, da due anni sono proprietà di Jannik Sinner. «L’italiano è un esempio: vincerà anche lui questo torneo. Ringrazio il pubblico che ha tifato per me», le parole ieri di Alcaraz. 

Verso Nadal e oltre

Carlos si è scoperto campione a 19 anni, gli stessi di Rafa Nadal quando vinse il suo Roland Garros inaugurale, nel 2005. Alcaraz, però, a differenza di Rafa, si è preso tutto e subito, il primo trofeo dello Slam con accluso il primo posto in classifica. Come in una mano di poker, un “all in” estremo, non per la fortuna che richiede (c’è anche quella, però) quanto per le scelte che lo indirizzano. Scelte coraggiose, quelle sul campo, sempre portate con grande disinvoltura. Quasi il giovane spagnolo di El Palmar, due passi da Murcia, non avverta il peso dei momenti topici dei match. È la sua forza, ancora oggi. L’ha dimostrato anche nella finale di ieri contro Sinner, la sua nemesi almeno per quanto riguarda la classifica.

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Il numero uno più giovane nella storia

Resta, Alcaraz, con i 19 anni del suo primo avvento al soglio tennistico, il più giovane numero uno della storia del tennis, e nemmeno di poco. Due anni prima di Sampras (21 anni), tre di Federer e Nadal (22), cinque di Djokovic (24), giusto per confrontarlo con i grandi che l’hanno preceduto. Valeva la pena chiedersi, in controtendenza ai peana che giungevano da tutto l’orbe tennistico, se non fosse troppo presto per dotare Carlitos di una corona da reuccio. Lo era, in effetti, e non è stato così difficile scoprirlo. La crescita doveva completarsi, anche se i presupposti erano i migliori possibili. E qualcosa, nel carattere di Alcaraz, diceva che non tutto sarebbe filato liscio. Pur continuando a vincere ad alto livello, Carlos è rimasto meno del previsto sulla cima, appena 36 settimane, ma in due spezzoni.

Il suo tennis esprimeva le punte massime nelle grandi occasioni, ma il difetto era nella continuità, e un po’ nel suo carattere teso a stupire il pubblico, a strappare applausi. «È un fenomeno vero», prese la parola Juan Carlos Ferrero, ex numero uno e vincitore del Roland Garros, con l’intenzione di difenderlo. «Colpì tutti noi sin dai primi giorni all’Accademia. Era uno stecco, non aveva un muscolo sulle gambe, ancora meno sulla schiena. Ma lavorava come un matto e sui colpi era esplosivo come un mortaretto. Sapevamo che sarebbe riuscito presto a vincere qualcosa d’importante. Ma continuare a crescere sarà indispensabile anche a uno come lui. Dategli tempo».

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“Prendetemi così”

Non è dato sapere a che punto dell’opera siamo. Certamente a buon punto. Di ottima famiglia, circondato da tre fratelli, un amore infinito per i nonni, Alcaraz si è fatto fare un tatuaggio con tre “C” per portare sempre con sé il motto del nonno (coraje, cabeza y coyones), ma qualche lite con il suo team per le serate festaiole più lunghe del previsto ha reso tutto più complicato. «Prendetemi così» è il mantra di Carlitos, e lo ripete anche nel docufilm girato da Netflix, che pone in evidenza il dissidio interno di un ragazzo che ha voglia di diventare il tennista più grande, ma teme che le rinunce da fare siano inaccettabili. Ma quando va in campo, il suo tennis si rianima. E contro Sinner gli succede spesso.  

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Cinque su cinque per Alcaraz

Amano tutti però cominciare dai piani alti del tennis, quasi l’assalto alle rocche del potere appartenga a un dna speciale, riservato ai campioni, e il confronto con la Storia batta nei loro petti come una pulsione insopprimibile. È successo allo stesso modo a Carlos Alcaraz, che di anni oggi ne ha ventidue ed è alla sua quinta conquista di un titolo Slam in cinque finali giocate. Us Open, due volte Wimbledon e due il Roland Garros. Gli mancano gli Australian Open per completare il Career Grand Slam, ma quelli, da due anni sono proprietà di Jannik Sinner. «L’italiano è un esempio: vincerà anche lui questo torneo. Ringrazio il pubblico che ha tifato per me», le parole ieri di Alcaraz. 

Verso Nadal e oltre

Carlos si è scoperto campione a 19 anni, gli stessi di Rafa Nadal quando vinse il suo Roland Garros inaugurale, nel 2005. Alcaraz, però, a differenza di Rafa, si è preso tutto e subito, il primo trofeo dello Slam con accluso il primo posto in classifica. Come in una mano di poker, un “all in” estremo, non per la fortuna che richiede (c’è anche quella, però) quanto per le scelte che lo indirizzano. Scelte coraggiose, quelle sul campo, sempre portate con grande disinvoltura. Quasi il giovane spagnolo di El Palmar, due passi da Murcia, non avverta il peso dei momenti topici dei match. È la sua forza, ancora oggi. L’ha dimostrato anche nella finale di ieri contro Sinner, la sua nemesi almeno per quanto riguarda la classifica.

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