Riccardo Mechi ce l'ha fatta!

Lo avevo promesso e ha mantenuto la parola data: l'architetto fiorentino, a bordo di una Ford Fiesta del 1984, ha viaggiato fino in Mongolia alla scoperta di posti incredibili portando in giro il nome e i valori di AISM
Riccardo Mechi ce l'ha fatta!

Da una persona come lui non ci potevamo aspettare che questo. Lo abbiamo sentito tante volte e il suo spirito avventuriero unito al grande attaccamento ad AISM hanno fatto sì che portasse a termine un'impresa non da poco. Riccardo Mechi, giovane architetto fiorentino, è arrivato fino in Mongolia a bordo di una vecchia Ford Fiesta del 1984: posti bellissimi, tanta fatica e molti imprevisti ma in gioco c'era qualcosa di troppo importante. Riccardo ha voluto fare questo viaggio infinito in nome dell'Associazione, per farla conoscere e farne capire il grande valore. 

Prima di tutto, che accoglienza hai avuto al tuo ritorno?

«Un gruppo di amici è venuto a prendermi, però sono sincero: ero talmente tanto stanco per la traversata che non avevo minimamente voglia di festeggiare. Ho rimandato tutti i festeggiamenti con parenti e amici a una settimana dopo».

La macchina è del 1984. Come ha reagito a tutti questi chilometri?

«Quando arrivi sulle strade russe dove combatti con i camion e i continui sali e scendi, superavo in discesa e poi in salita avevo i camion che mi riprendevano. È stato un tira e molla continuo e la macchina si è sforzata tantissimo. Ho accelerato fino ad arrivare a una velocità massima di 30 km orari. Ma insomma sono riuscito a portarla a casa».

Il viaggio d'andata eri più o meno sicuro di finirlo, ma il ritorno era tutto da vedere. Sei però riuscito anche a tornare con la macchina.

«Ho perso tempo in Turkmenistan, è una bolla dentro il tempo: sai quando entri, sai che devi uscire dopo 4 giorni, ed è tutto deserto. Un posto che lì per lì ho odiato, poi col passare del tempo ho capito che è stato il punto clue dell'intero viaggio. Ho poi perso tempo per entrare in Russia, ci sono entrato circa una settimana e mezza dopo rispetto a quando sarei dovuto entrare. Fare un pezzo di Russia, poi fare la Mongolia, poi rifare tutta la Russia è un range che non avrei potuto fare perché mi mancavano i giorni, però poi alla fine mi sono obbligato “facciamo 700/800 km al giorno e veniamo fuori dalla Russia”, e ce l'ho fatta».

La macchina ha avuto problemi? Hai dovuto fare riparazioni? 

«Sì, due soprattutto. Uno in Turchia quando sono finito dentro un lago salato con la compagna del team che mi seguiva in quel momento: la macchina aveva fatto troppa pressione al motore, che non è monoblocco come quelle attuali, ma ha come dei tappi. Tolto un tappo del motore la macchina ha cominciato a perdere e a “dissanguarsi” lentamente. Abbiamo quindi fatto un piccolo pit stop in Turchia per farci riparare la macchina. Entriamo nel lago salato, in cui io sapevo che le macchine comunque passavano, ma non avevo considerato che non tutto il lago è secco; alcune parti sono soggette all'alta e alla bassa marea, quindi una volta entrato sono rimasto impantanato. Con l'aiuto di alcuni ragazzi turchi siamo usciti e abbiamo rimesso la macchina sulla strada. Ma lo sforzo è stato un po' troppo e ha ceduto. Il secondo problema invece c'è stato quando sono arrivato in Russia e una benzinaia invece di mettermi la benzina mi ha messo il diesel. Ho cominciato a sentire che la macchina non andava e infatti mi sono dovuto fermare. Ho tolto il diesel alla vecchia maniera: con la canna. Due ragazzi armeni mi hanno dato un po' di supporto morale mentre pompavo via il diesel. Poi chiaramente ci sono stati tanti altri problemi: ho cambiato le candele, un acquazzone verso la fine della Russia mi ha allagato la macchina e ha provocato danni al carburatore quindi la macchina andava a singhiozzo». 

I problemi li avevi messi in preventivo, è giusto?

«Sì, certamente, ma ti assicuro che quando sono entrato in Mongolia e avrei dovuto fare tantissimi altri chilometri per attraversare tutta la Russia e tornare Italia, da fare tutti in una tirata contro il tempo, ho pensato che fossero veramente troppi e da fare troppo velocemente». 

Il posto che più di ogni altro ti ha trasmesso emozioni e a cui ti sei legato di più? 

«Ce ne sono stati tanti. La Georgia, per esempio, è stata una bellissima scoperta. È un Paese a cui arrivi dalla Turchia che è completamente arida, mentre lì vedi tanto verde. Appena finisce la Georgia, c'è l'Azerbaijan e là non c'è più neanche un albero. Quindi la Georgia ha sicuramente avuto un impatto visivo molto particolare. Anche per quanto riguarda le strade: se normalmente le strade attraversano le montagne dritte per dritte, in Georgia le montagne seguono la linea dei tracciati più convenzionali nel Medioevo, quindi seguivano il fondovalle accanto al fiume. Mi è piaciuta tantissimo anche la Bosnia, ero stato tante volte sui Balcani ma mai lì: avevo in mente le immagini che davano in televisione di quando c'è stata la guerra e io ero bambino. In realtà è un Paese estremamente aperto, un incontro tra culture diverse, tra cristiani e mussulmani. Sarajevo è veramente impressionate: sono anche andato a vedere diverse rovine delle Olimpiadi di Sarajevo del 1984. Ma ci sono state tante altre belle scoperte, per esempio, quando corri come un dannato per il deserto per 500/600 km, che è veramente lunga, e poi arrivi nella Bocca dell'Inferno, che è un grande cratere che brucia da decenni grazie a l'esplosione della centrale di gas. Stavo nel mezzo del niente, c'erano solo cammelli, sono un elemento costante del paesaggio. Durante il tragitto ogni volta che lasciavo un Paese non facevo altro che offenderlo. Solo adesso, con un po' di distacco, riesco ad apprezzarne la grande bellezza. Poi una volta arrivato in Russia le strade erano molto più monotone, mentre in Mongolia le strade non ci sono, le scegli tu a tua discrezione, ci sono solo piste in cui qualcuno prima di te è già passato, addirittura ti tassano per passare su queste “strade”: ma ti pare che mi tassi? La strada non c'è!».   

Quanti km hai fatto e in quanti giorni?

«Nove settimane precise, dalla partenza al ritorno. Sono partito il 14 luglio e tornato sabato 22 settembre. Quanto ai chilometri c'è un po' un dibattito perché durante il viaggio il contachilometri mi si è rotto. Ma facendo un veloce conto tramite Google Maps, da città a città sono stati all'incirca 26.118 km, ma realisticamente sono di più perché spesso mi sono perso e ho allungato. Saranno quasi 30mila».

Uno dei fini del tuo viaggio era quello di far conoscere AISM, pensi di aver raggiunto questo obiettivo?

«Penso di sì, anche perché tanti mi hanno chiesto “Ma perché lo stai facendo?” e ho spiegato in giro per il mondo a ognuno di loro cosa fosse AISM, anche a coloro che magari non avevano le possibilità né le capacità di donare. Non era importante portare le persone a contribuire economicamente: io spiegavo soprattutto per informare, chiarire perché sto facendo questo viaggio e per chi. In tutti i Paesi le persone rimanevano affascinate e interessate di come un'associazione si prodighi a dare quel contributo necessario su tutti i fronti a chi è affetto da sclerosi multipla, erano disposti anche a dare un cammello o una pecora per sostenere la causa».

Quali sono i tuoi prossimi impegni?

«Troverò il modo di fare altre avventure: la vita sedentaria non fa per me! Già sto pensando a cosa fare. Dovrò trovare il modo di fare queste avventure mascherandole da vacanze, perché in famiglia c'è stata un po' di angoscia e di preoccupazione. Mi piacerebbe raggiungere Capo Nord e anche andare con un amico che sta in Brasile nella Terra dei Fuochi, in Patagonia, la punta più meridionale dell'Argentina. Vorrei trovare nuove strade, altrimenti la quotidianità diventa normale».

 

 

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