Priftis entusiasta di Reggio Emilia: "Avevo bisogno un progretto così"

Il coach greco galvanizzato dalla nuova avventura con il club emiliano: "Con Coldebella abbiamo puntato su giocatori affidabili, esperti, altruisti"
Priftis entusiasta di Reggio Emilia: "Avevo bisogno un progretto così"

Se non ancora moda, un po’ tendenza lo è. Dopo Brase e poi Spahija, in questa stagione di A allenano Tom Bialaszewski (ex assistente a Milano) a Varese al posto di Brase, e due ben noti coach internazionali: Dimitris Priftis alla Reggiana e Igor Milicic a Napoli. Che hanno ri-portato una visione internazionale. Il confronto di stili aiuta sempre a crescere.

Prifits, perché a Reggio Emilia?
«Io ho sempre cercato la stabilità in un progetto. Tre anni all’Aris e 4 a Kazan nel passato. Dopo due club in due stagioni (Panathinaikos e Besiktas) cercavo un programma a medio termine. E conoscere Claudio Coldebella, il gm con cui ho condiviso parte del percorso, mi ha aiutato, mi ha dato fiducia. Il primo mese e mezzo di lavoro mi conferma che ho avuto ragione».

Avete costruito una squadra di struttura internazionale.
«L’idea era allestire il miglior gruppo possibile mettendoci solidità, fisico, ma anche puntando su un paio di ragazzi cresciuti nel settore giovanile. Nella fattispecie Faye e Grant. Perciò servono riferimenti esperti. Il progetto prevede di lanciare ragazzi ogni anno, ma non di più di due, altrimenti sarebbe rischioso, del resto si dipende anche dai risultati».

In Italia lanciare giovani è una rarità.
«Non dipende mai dai coach, ma dalla strategia dei club. La decisione deve essere presa e condivisa. Partendo dal presupposto che il percorso prevederà delle sconfitte, degli alti e bassi e che deve esserci un intenso lavoro quotidiano, i giovani devono avere questa propensione, devono amare il lavoro. Sono molto ottimista per Faye e Grant, hanno il giusto approccio, disponibilità, ma devono ancora fare un lungo cammino di apprendimento. Con il lavoro».

Ci parli della sua filosofia di gioco.
«Ho le mie idee, ma cerco sempre di adattarmi al materiale disponibile, perché restare rigidi sui propri convincimenti non è sempre sinonimo di successo. Bisogna aggiustare la propria filosofia. Chiedo però sempre la disponibilità allo sforzo. E se per costruire un buon attacco occorre tempo, il primo sforo deve partire dalla difesa, dal sacrificio condiviso. In attacco, bisogna arrivar era passarsi più possibile la palla. Più passaggi e meno palleggi».

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Eppure nelle difficoltà offensive si va sull’uno contro uno o pick and roll. E il gioco americano si basa sull’uno contro uno.
«È un’eterna lotta tra palleggiare e passare. Ma molti grandi campioni del momento sono portati alla condivisione, più che in passato, per vincere».

Prime impressioni sull’Italia?
«È presto, ma le impressioni sono davvero buone. Squadre molto competitive, equilibrio, sono sorpreso dagli italiani, tanti ottimi giocatori di ruolo. La qualità degli allenatori è riconosciuta internazionalmente e si vede anche dai giocatori. Nell’adattamento a Reggio Emilia ho grande aiuto dagli assistenti Fucà e Mangone, ma anche da Bencardino che è ben più di un preparatore».

La Grecia ha una grande scuola tecnica, ma di recente sta producendo meno giocatori.
«Non capita sempre di produrre tanti campioni di successo. Ma sono ottimista perché adesso una generazione è in federazione, a cominciare da Spanoulis nuovo ct, passando Zisis team manger, e poi Dikoudis vice, Diamantidis, Tsartsaris, tutti lavorano in federazione».

Torniamo a Reggio Emialia, dove può arrivare. E come riesce a convincere gli americani e in particolare Galloway, ex Nba di lungo corso, al gioco di passaggi, al basket internazionale?
«Con Coldebella abbiamo puntato su giocatori affidabili, esperti, altruisti. Per me un grande aiuto è avere Jamar Smith, che ho avuto 4 anni a Kazan, come un vice allenatore aggiunto. Condivide, fa da tramite, suggerisce. E ovviamente conosce il mio gioco e la mia persona. Per quanto riguarda Galloway, dovreste vederlo in allenamento. Pensereste allora che sia qui da anni. Il basket internazionale calza a pennello al suo modo. Ha una mentalità molto aperta, disponibilità. Stiamo creando una bella miscela. Michel Vitali è ben più di un giocatore di ruolo, abbiamo la disponibilità Uglietti, Chillo, il talento di Hervey, Weber, Atkins». Le due vittorie della UnaHotels Reggio Emilia sono solo le prime.

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Se non ancora moda, un po’ tendenza lo è. Dopo Brase e poi Spahija, in questa stagione di A allenano Tom Bialaszewski (ex assistente a Milano) a Varese al posto di Brase, e due ben noti coach internazionali: Dimitris Priftis alla Reggiana e Igor Milicic a Napoli. Che hanno ri-portato una visione internazionale. Il confronto di stili aiuta sempre a crescere.

Prifits, perché a Reggio Emilia?
«Io ho sempre cercato la stabilità in un progetto. Tre anni all’Aris e 4 a Kazan nel passato. Dopo due club in due stagioni (Panathinaikos e Besiktas) cercavo un programma a medio termine. E conoscere Claudio Coldebella, il gm con cui ho condiviso parte del percorso, mi ha aiutato, mi ha dato fiducia. Il primo mese e mezzo di lavoro mi conferma che ho avuto ragione».

Avete costruito una squadra di struttura internazionale.
«L’idea era allestire il miglior gruppo possibile mettendoci solidità, fisico, ma anche puntando su un paio di ragazzi cresciuti nel settore giovanile. Nella fattispecie Faye e Grant. Perciò servono riferimenti esperti. Il progetto prevede di lanciare ragazzi ogni anno, ma non di più di due, altrimenti sarebbe rischioso, del resto si dipende anche dai risultati».

In Italia lanciare giovani è una rarità.
«Non dipende mai dai coach, ma dalla strategia dei club. La decisione deve essere presa e condivisa. Partendo dal presupposto che il percorso prevederà delle sconfitte, degli alti e bassi e che deve esserci un intenso lavoro quotidiano, i giovani devono avere questa propensione, devono amare il lavoro. Sono molto ottimista per Faye e Grant, hanno il giusto approccio, disponibilità, ma devono ancora fare un lungo cammino di apprendimento. Con il lavoro».

Ci parli della sua filosofia di gioco.
«Ho le mie idee, ma cerco sempre di adattarmi al materiale disponibile, perché restare rigidi sui propri convincimenti non è sempre sinonimo di successo. Bisogna aggiustare la propria filosofia. Chiedo però sempre la disponibilità allo sforzo. E se per costruire un buon attacco occorre tempo, il primo sforo deve partire dalla difesa, dal sacrificio condiviso. In attacco, bisogna arrivar era passarsi più possibile la palla. Più passaggi e meno palleggi».

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