Milan-Inter, rivincita Mondiale: è San Siro, sembra Losail

Theo Hernandez e Giroud contro Lautaro Martinez: il Toro ha timbrato gli ultimi due derby, entrambi vinti dai nerazzurri
Milan-Inter, rivincita Mondiale: è San Siro, sembra Losail© Getty Images/Marco Canoniero/Aldo Liverani

MILANO - Tra lo stadio di Losail e San Siro ballano circa 4.300 chilometri, ma domani sera - quando si incroceranno per salutarsi - le menti di Olivier Giroud, Theo Hernandez e Lautaro Martinez voleranno a quanto accaduto il 18 dicembre. Notte delle streghe per i francesi del Milan: il primo sostituito, con i Blues in bambola, addirittura prima che finisse il primo tempo; il secondo tra i peggiori in campo e colpevole sul 2-0 dell’Albiceleste. Notte di gloria invece per Lautaro che ha dato la scossa all’Argentina con il suo ingresso in campo innescando poi il 3-2 di Messi, il tutto senza pensare che, se Montiel avesse fallito il suo tiro dal dischetto, sarebbe toccato a lui (come contro l’Olanda) il pallone per la storia. Già, la storia. E quella dei derby milanesi, dopo Losail, ha avuto altri due capitoli e, pure lì, l’argentino ha soltanto ricordi esaltanti: con uno scavetto da urlo ha completato il 3-0 a Riad in Supercoppa e ha marchiato l’ultima stracittadina di campionato (1-0, 5 febbraio). Magra consolazione per quanto accaduto, sempre il 5 febbraio, ma di un anno prima, nel derby in cui... “si è girato Giroud” - come dal coro coniato dalla curva rossonera -, partita, vinta in rimonta dal Milan grazie alla doppietta del francese nel giro di tre minuti, un uno-due risultato decisivo nella volata scudetto.

Il retroscena di Giroud

Un gol benedetto dal destino, come ribadito dal francese pure nell’ultima esternazione alla Uefa: «Nel mercato invernale 2020 potevo firmare per l’Inter, invece Dio ha voluto che scegliessi il Milan. Sono molto contento. Se mi avessero detto che al primo anno avremmo vinto lo scudetto dopo dieci e che al secondo saremmo tornati in semifinale di Champions dopo sedici anni, mi sarebbe sembrato irrealistico. Già seguivo il Milan da adolescente, negli anni novanta, e Shevchenko era il mio idolo: cercavo di imitarlo in allenamento, anche nel modo in cui correva e nella sua eleganza». Considerazioni già fatte, quelle riguardo alla “benedizione divina” sulla scelta rossonera, ma - si sa - queste frasi pronunciate nella settimana in cui a Milano tutti pensano soltanto all’euroderby, non faranno che rendere ancora più sapida l’atmosfera domani sera a San Siro. Sale che non è mai mancato nelle stracittadine giocate da Theo Hernandez, il milanista che ha fieramente raccolto l’eredità di Rino Gattuso nell’essere il giocatore più odiato dalla curva nerazzurra.

Theo-Lautaro, progetti milanesi

La iella ha smontato la catena di sinistra che vedeva il Concorde rossonero sprintare al fianco di Rafa Leao, ma quanto combinato da Theo con la Lazio (volata di 84 metri con otto tocchi al pallone e un gol da urlo) ha fatto scattare l’allarme rosso nella mente di Simone Inzaghi che, non a caso, negli ultimi allenamenti ha curato con maniacalità certosina le marcature preventive per spegnere immediatamente il turbo del francese, nel caso in cui riuscisse ad accendersi. Non è dato a sapersi se il doppio euroderby valido per raggiungere la finale di Champions sia il punto più alto dei tre nelle sfide rossonerazzurre, ma è certo che vivremo nuovi capitoli almeno nella prossima stagione. Giroud è fresco di rinnovo di contratto fino al 2024 («Grazie a uno stile di vita sano e al fatto che mi infortuno raramente, ho ancora buoni risultati e mi sento benissimo fisicamente: perché non dovrei continuare? Amo il calcio e so quanto mi mancherà quando appenderò gli scarpini al chiodo»), mentre Theo e Lautaro sono pietre angolari nei progetti delle due società, avendo entrambi già indossato pure la fascia da capitano. Soprattutto il fatto che l’argentino sia considerato inamovibile è segno di come Zhang, anche nel rinnovamento che ci sarà in estate (l’Inter ha la rosa più anziana della Serie A), è fermamente intenzionato nel mantenere la squadra competitiva. Per pensare al futuro comunque c’è tempo: l’attualità inchioda le menti a questi 180 minuti che ricordano, per importanza - almeno a latitudini milanesi - la finale mondiale. Alzi infatti la mano chi a inizio stagione avrebbe mai pensato soltanto lontanamente di giocarsi la finale di Champions in un derby. Nessuno.

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