Real-City non è un calcio marziano: Capello, Marino e il tifoso Juve a Madrid

Lo spettacolo della Champions mette a nudo i problemi del calcio italiano: e non è solo questione di livello diverso dei calciatori...

D i fronte allo straordinario spettacolo offerto martedì sera dal match tra Real Madrid e Manchester City, il pensiero passato nella testa dei tanti italiani appiccicati di fronte allo schermo è stato uno soltanto: questi fanno un altro sport. Una partita bella, intensa, condita da centinaia di gesti tecnici, alcuni impensabili. Terzini a tutto campo, mezzale che attaccano la profondità e registi che imbucano con una semplicità disarmante. Ma soprattutto, un match imprevedibile dall’inizio alla fine. Il meglio che il calcio potesse offrire in 90 minuti, che avremmo voluto non finissero mai. Una partita che però, ci pone di fronte a un interrogativo: cosa manca ai club italiani per poter produrre un calcio simile? È solo una questione prettamente economica e di organico, con City e Real che da anni si contendono i migliori giocatori del pianeta, oppure in gioco ci sono altri fattori? Ma soprattutto, questo evidente gap qualitativo che separa i nostri club dalle grandissime del calcio europeo, siamo sicuri che in campo possa poi tradursi necessariamente in un vero e proprio dominio?

Le opinioni di Fabio Capello e Pier Paolo Marino

Quanto visto nella finale di Champions dell’anno scorso, con l’Inter che ha messo più volte in seria difficoltà il City, sembrerebbe suggerirci il contrario. Noi ne abbiamo parlato con due esperti: l’ex direttore sportivo dell’Udinese, Pier Paolo Marino, e un grande allenatore, Fabio Capello, oggi commentatore per Sky. «L’altra sera sono rimasto affascinato dalla partita del Real con il Manchester City - commenta Marino -. Uno spot per le nuove generazioni che magari, per la prima volta, guardavano un match di Champions League. Mi ha fatto andare a letto con un entusiasmo pazzesco, felice di aver visto in televisione la massima espressione del calcio, che oltre ad essere la mia più grande passione, è il mio lavoro. Due squadre forti, alte, temerarie ed aggressive, con una filosofia di gioco votata ad attaccare costantemente l’avversario. I difensori rischiavano gli interventi senza paura, azzardando chiusure il più coraggiose possibili. In Italia – e non è detto che sia necessariamente sbagliato – non c’è questa espressione di gioco sbarazzina, al contrario si tende ad esasperare l’aspetto tattico. Non a caso la Serie A è uno dei campionati in cui si segna meno».

Marino: "Decreto Crescita? Ora serve il futuro"

«A livello di spettacolarità non c’è paragone tra quanto offerto l’altra sera dalle squadre di Ancelotti e Guardiola, rispetto ai match in cui sono impegnati i nostri club. Detto questo, non dobbiamo dimenticare che il calcio italiano è al primo posto nel Ranking Uefa per nazioni, e questo è dovuto alla bravura dei nostri allenatori, in particolare dei più giovani: sono stati capaci di surrogare i potenziali tecnici delle squadre con studi tattici accurati, anche se questo, inevitabilmente, si è tradotto in una minor spettacolarità. E questo è stato possibile anche grazie al decreto crescita, che ha permesso ad alcuni grandi squadre di poter fare arrivare giocatori dal potenziale elevato a un costo nettamente inferiore rispetto al passato. Ora i club dovranno farne a meno, e c’è da sperare che questo non si traduca in un ulteriore involuzione rispetto al passato, anche perché le altre società europee – il Real su tutti che si rinforzerà con Mbappè ed Endrick – stanno già investendo sul futuro».

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Capello: In Italia si fischia troppo, non c'è intensità

«Le squadre che abbiamo visto l’altra sera hanno a disposizione giocatori di un altro livello - sottolinea Capello -. I gol, i passaggi e le giocate a cui abbiamo assistito sono dovuti all’elevato tasso tecnico di chi era in campo. Senza giocatori di questo livello, non puoi produrre uno spettacolo simile. In City Real dei sei gol segnati, quattro erano imparabili e arrivavano da fuori area. Le nostre squadre non hanno la loro qualità e il loro ritmo. Come si fa ad avere intensità in Italia se ogni volta che c’è un contrasto o un semplice contatto, i calciatori si buttano per terra con la conseguente interruzione del gioco? Da noi si fischia troppo, e a risentirne è lo spettacolo. Il Real a inizio partita si è lamentato per un paio di falli non concessi dall’arbitro che ha lasciato correre dall’inizio alla fine: è in questo modo che puoi vedere chi è bravo tecnicamente, chi ha fisicità…».

Per Marino, tra le cause di questo gap qualitativo, vi sarebbe poi un’eccessiva pressione nei confronti dei club più grandi: «In Italia ci sono 4/5 grandi squadre che se non vincono ogni anno subiscono delle pressioni economiche, della critica e della tifoseria che sono insopportabili. Devono vincere a tutti i costi. In Inghilterra è completamente diverso: trent’anni fa andai a vedere una partita di Premier, con l’Ipswich Town che retrocesse nella seconda lega inglese. A fine gara, i giocatori hanno fatto il giro del campo e lo stadio li applauditi. Non dico che si debba arrivare a questo, ma che la pressione della critica e l’esigenza dei contesti delle tifoserie cozzano poi con la facilità di produrre spettacolo».

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«Io, estasiato al Bernabeu»: il racconto di un tifoso Juve

Caro Direttore,
martedì sera sono andato a farmi un giro su un’astronave e ho visto il calcio di un altro pianeta. Sì, perché il nuovo Santiago Bernabeu è veramente galattico, nel senso che, sì, da un momento all’altro ti aspetti che possa volare nello spazio. E perché lo spettacolo di Real-City mi ha riempito gli occhi e il cuore come solo certe opere d’arte possono fare. Al bar si dice: quelli giocano un altro sport. Per carità, la si può vedere anche così, ma per me la verità è che “quelli” hanno un’altra cultura. E per cultura si intende cultura di chi va in campo e di chi sta sugli spalti. C’è molto più rispetto tra i giocatori, consapevoli di essere dei grandi professionisti e quindi di dover dare un grande spettacolo in campo; c’è molto più rispetto fra le tifoserie, abituate a queste partite, sia quella di casa che quella in trasferta, che vivono l’evento con grande tensione emotiva, qualche sfottò, ma sostenendo molto di più la propria squadra piuttosto che insultando l’avversario. Secondo me è quella partecipazione del pubblico, è quel senso per lo spettacolo, è quel modo di apprezzarlo che facilità partite meravigliose come quella di martedì sera.

Ero lì dalle sette e mezza, volevo respirare quell’aria, godermi anche il riscaldamento, durante il quale, peraltro, ho visto dei numeri di Rodrygo da urlare. Poi la partita è stata perfetta e la rappresentazione plastica di una cultura diversa del calcio è un contropiede del City che ha messo Haaland da solo contro Rudiger, unico insieme al portiere nella sua metà campo. Lasciare ad Haaland un “uno contro uno” a noi italiani sembra una cosa folle, ma io lo vedevo Ancelotti che spingeva in avanti i suoi. In quel momento, con Rudiger da solo contro Haaland ho capito che per loro è diverso l’equilibrio: spagnoli e inglesi considerano i rischi di lasciare un solo difensore in quella situazione comunque inferiori ai benefici di attaccare con molti più uomini. Così arrivano i gol e lo spettacolo. Attenzione, io non sputo su una fase difensiva fatta bene, non voglio affossare la cultura calcistica italiana che è diversa e lo stesso onorevole, ma mi chiedo perché per andarmi a divertire vedendo una partita debba prendere l’aereo e andare a Madrid. Poi sabato sarò allo stadio per vedere il derby, la Juventus non la lascerò mai, quello è amore, amore vero, quello di martedì divertimento. Ma forse dovremmo cambiare noi, noi tifosi, per cercare di spingere anche le nostre squadre a giocare come il Real e il City e non aver paura di perdere, ma un po’ più di voglia di vincere.

Roberto Deideri

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D i fronte allo straordinario spettacolo offerto martedì sera dal match tra Real Madrid e Manchester City, il pensiero passato nella testa dei tanti italiani appiccicati di fronte allo schermo è stato uno soltanto: questi fanno un altro sport. Una partita bella, intensa, condita da centinaia di gesti tecnici, alcuni impensabili. Terzini a tutto campo, mezzale che attaccano la profondità e registi che imbucano con una semplicità disarmante. Ma soprattutto, un match imprevedibile dall’inizio alla fine. Il meglio che il calcio potesse offrire in 90 minuti, che avremmo voluto non finissero mai. Una partita che però, ci pone di fronte a un interrogativo: cosa manca ai club italiani per poter produrre un calcio simile? È solo una questione prettamente economica e di organico, con City e Real che da anni si contendono i migliori giocatori del pianeta, oppure in gioco ci sono altri fattori? Ma soprattutto, questo evidente gap qualitativo che separa i nostri club dalle grandissime del calcio europeo, siamo sicuri che in campo possa poi tradursi necessariamente in un vero e proprio dominio?

Le opinioni di Fabio Capello e Pier Paolo Marino

Quanto visto nella finale di Champions dell’anno scorso, con l’Inter che ha messo più volte in seria difficoltà il City, sembrerebbe suggerirci il contrario. Noi ne abbiamo parlato con due esperti: l’ex direttore sportivo dell’Udinese, Pier Paolo Marino, e un grande allenatore, Fabio Capello, oggi commentatore per Sky. «L’altra sera sono rimasto affascinato dalla partita del Real con il Manchester City - commenta Marino -. Uno spot per le nuove generazioni che magari, per la prima volta, guardavano un match di Champions League. Mi ha fatto andare a letto con un entusiasmo pazzesco, felice di aver visto in televisione la massima espressione del calcio, che oltre ad essere la mia più grande passione, è il mio lavoro. Due squadre forti, alte, temerarie ed aggressive, con una filosofia di gioco votata ad attaccare costantemente l’avversario. I difensori rischiavano gli interventi senza paura, azzardando chiusure il più coraggiose possibili. In Italia – e non è detto che sia necessariamente sbagliato – non c’è questa espressione di gioco sbarazzina, al contrario si tende ad esasperare l’aspetto tattico. Non a caso la Serie A è uno dei campionati in cui si segna meno».

Marino: "Decreto Crescita? Ora serve il futuro"

«A livello di spettacolarità non c’è paragone tra quanto offerto l’altra sera dalle squadre di Ancelotti e Guardiola, rispetto ai match in cui sono impegnati i nostri club. Detto questo, non dobbiamo dimenticare che il calcio italiano è al primo posto nel Ranking Uefa per nazioni, e questo è dovuto alla bravura dei nostri allenatori, in particolare dei più giovani: sono stati capaci di surrogare i potenziali tecnici delle squadre con studi tattici accurati, anche se questo, inevitabilmente, si è tradotto in una minor spettacolarità. E questo è stato possibile anche grazie al decreto crescita, che ha permesso ad alcuni grandi squadre di poter fare arrivare giocatori dal potenziale elevato a un costo nettamente inferiore rispetto al passato. Ora i club dovranno farne a meno, e c’è da sperare che questo non si traduca in un ulteriore involuzione rispetto al passato, anche perché le altre società europee – il Real su tutti che si rinforzerà con Mbappè ed Endrick – stanno già investendo sul futuro».

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