Ancelotti, Guardiola, il gioco e il risultato: non è Subbuteo, non è la Play

Real Madrid in semifinale di Champions e Manchester City a casa: l’analisi oltre le statistiche e i rigori che alla fine hanno deciso tutto, più delle azioni mirabolanti o dei gol da applausi

«I giornalisti sono quelli che dopo sapevano tutto prima». L’ha citata ieri Mattia Feltri su “La Stampa”, l’ha scritta un secolo fa Karl Kraus che (grazie Wikipedia!) fu un giornalista, umorista, aforista e un sacco di altre parole che finiscono in “sta”. E sta di fatto che oggi siamo tutti fenomeni: lo sapevamo prima che Carlo Ancelotti avrebbe eliminato Pep Guardiola. No, non è così. Il verdetto è arrivato ai rigori, soluzione spietata dopo una partita tirata. Meglio: due sfide tiratissime. Anzi: centottanta minuti emozionanti. E ancora: otto gol complessivi. Infine, appunto: quei rigori che una volta, quando il giornalismo non si arruffianava i social, venivano definiti per quel che erano, cioè roulette e/o lotteria. Giochi d’azzardo.

Pep: "Il risultato lo fanno i giocatori"

Qui adesso ci starebbero le carezze ai lettori, quelli schierati con i cosiddetti “risultatisti” a scapito degli altrettanto cosiddetti “giochisti”. In verità si tratta di una divisione artificiale, inventata nella forma e ridicola nel contenuto. Anche se sarebbe utilissima per molti influencer attuali, non occorre una visita guidata a Coverciano per capire che ogni risultato si ottiene attraverso il gioco e qualsiasi gioco è finalizzato al risultato. E che il “gioco” - lo dice la parola - si materializza attraverso i “giocatori”. Del resto, navigando in superficie sul web, si trova un’intervista di Guardiola da imparare a memoria: «Ho vinto perché ho avuto giocatori straordinari in grandi club. Ci sono grandi allenatori che non hanno questi giocatori e non allenano in grandi club. La gente pensa che se sei Guardiola devi vincere tutto ogni anno, fare milioni di punti e milioni di gol. A volte non è possibile perché ci sono gli avversari. Altre volte, non puoi semplicemente farlo!». Intervista datata 2020, ma senza tempo. Cambiando sport ma non livello, sempre top, assomiglia allo sfogo sul fallimento di Giannis Antetokounmpo, stella del basket Nba.

"Ancelotti il miglior allenatore del mondo"

Tornando ai lettori da compiacere, qui non leggerete evviva il difensivo Carlo e abbasso l’offensivo Pep. Polarizzare in modo così sempliciotto sarebbe da mediocri. Le due fasi, offensiva e difensiva, hanno bisogno magari di accorgimenti tattici, ma non di esagerazioni dialettiche. «Quando abbiamo la palla noi, dobbiamo attaccare bene. Quando hanno la palla loro, dobbiamo difendere bene». Questa frase non è passata alla storia. È troppo facile. Non si sa chi l’ha detta, forse nessuno. È banale, d’accordo. Ma anche vera, nonché confermata dalla doppia sfida tra Real Madrid e Manchester City. Che è finita ai rigori. Dopo due pareggi. In sostanza, pari.

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L'allenatore non si fa alla playstation

Chi la vuol vedere contro Guardiola dice che Haaland non viene servito bene e farà la fine di Ibrahimovic. Che Grealish preferito a Doku davvero non si capisce. Che lasciare campo aperto agli sprinter madrileni è un suicidio. Che anche i quattro gol segnati non sono stati frutto di schemi, semmai di una gaffe del portiere, un tiro da lontano miracoloso (Foden) e uno fortunoso (Gvardiol), più infine un errore, peraltro l’unico, di super Rudiger. Chi la vuol vedere contro Ancelotti ribatte che è stato fortunato, come al solito. Che il possesso palla sotto il 35% non è calcio. Che così non va lontano. Che la sua “proposta di gioco” è antica. Chi sceglie invece gli elogi, ribalta le tesi. Ci vuole poco. In fondo, anche il calcio parlato è un gioco. Basta supportare il contrario con una buona dialettica, se possibile arricchita da qualche statistica affascinante, e si arriva al giudizio divisivo sugli allenatori. Ci sta. Niente di male. In disordine di moduli e filosofie, se ne parla dai tempi di Herrera e Rocco, Sacchi e Trapattoni, Lippi e Capello, Allegri e Sarri. Ora però si sta esagerando. E non per responsabilità dei protagonisti della panchina. La colpa, semmai, è di chi guida i commenti.

Fino a un decennio fa, gli opinionisti erano la generazione del Subbuteo. Oggi comandano i figli di Playstation e Football Manager, che fanno la voce grossa grazie al microfono sempre acceso dei social. L’allenatore non si fa con i pollici come alla Play e il mercato non si realizza con le carriere virtuali. Solo che tanti non lo sanno. E quelli più evoluti fanno finta di non saperlo. Chi scrive, per intendersi, non si è mai sognato di fare il medico perché aveva l’Allegro Chirurgo o lo scienziato grazie al Piccolo Chimico. (nota per i non boomer: si tratta di vecchi giochi in scatola). Sia consentito un sorriso aggiuntivo: non tutti i piccoli telespettatori di Art Attack sono poi diventati artisti o semplicemente dipendenti dell’Ikea. D’accordo che, come diceva Sacchi per giustificare il suo scarso pregresso in campo, “non occorre esser stato cavallo per fare il fantino”. Va bene. Ma non esageriamo.

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Il modello di Sacchi dipendeva da...Ancelotti

Arrigo Sacchi inventò un calcio che ancora oggi viene indicato a modello. Aveva un gran gioco. Ma alle spalle anche una grande società che lo supportava con grandi acquisti di mercato. Cioè giocatori. Anzi, “un” giocatore. Non si tratta di qualcuno dell’imbattibile difesa. Né un olandese a caso. Né il paradosso surreale dei gregari Evani e Colombo. Il giocatore che Sacchi pretese con tutte le sue forze fu proprio Carlo Ancelotti. Richiesto con telefonate a qualsiasi ora del giorno e della notte, a Berlusconi che lo temeva rotto per un ginocchio torturato dagli infortuni. Sì, proprio lui: Ancelotti. Era un “giocatore”. Determinante per il “gioco”. Capito? Di esempi simili è piena la storia del calcio, che archivia i responsi intermedi salvandoli con il nome della squadra che trionfa in finale. Perché la storia, si sa, la fanno i vincitori. Ma proprio per questo, proviamo a digitare parole così in disuso che nemmeno vengono suggerite in automatico: buonsenso, saggezza, verità. Con buonsenso la sintesi del Real Madrid di Ancelotti va avanti a scapito del Manchester City di Guardiola. Con saggezza si annota che c’erano i giocatori con le loro giocate. La verità è che hanno deciso i rigori. Moderiamo i social e parliamone. Senza far finta (dopo) di aver saputo tutto (prima). Che poi sarebbe un libero adattamento della citazione iniziale, quella copiata e incollata all’inizio perché proveniente dalla notifica più recente sul telefonino…

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«I giornalisti sono quelli che dopo sapevano tutto prima». L’ha citata ieri Mattia Feltri su “La Stampa”, l’ha scritta un secolo fa Karl Kraus che (grazie Wikipedia!) fu un giornalista, umorista, aforista e un sacco di altre parole che finiscono in “sta”. E sta di fatto che oggi siamo tutti fenomeni: lo sapevamo prima che Carlo Ancelotti avrebbe eliminato Pep Guardiola. No, non è così. Il verdetto è arrivato ai rigori, soluzione spietata dopo una partita tirata. Meglio: due sfide tiratissime. Anzi: centottanta minuti emozionanti. E ancora: otto gol complessivi. Infine, appunto: quei rigori che una volta, quando il giornalismo non si arruffianava i social, venivano definiti per quel che erano, cioè roulette e/o lotteria. Giochi d’azzardo.

Pep: "Il risultato lo fanno i giocatori"

Qui adesso ci starebbero le carezze ai lettori, quelli schierati con i cosiddetti “risultatisti” a scapito degli altrettanto cosiddetti “giochisti”. In verità si tratta di una divisione artificiale, inventata nella forma e ridicola nel contenuto. Anche se sarebbe utilissima per molti influencer attuali, non occorre una visita guidata a Coverciano per capire che ogni risultato si ottiene attraverso il gioco e qualsiasi gioco è finalizzato al risultato. E che il “gioco” - lo dice la parola - si materializza attraverso i “giocatori”. Del resto, navigando in superficie sul web, si trova un’intervista di Guardiola da imparare a memoria: «Ho vinto perché ho avuto giocatori straordinari in grandi club. Ci sono grandi allenatori che non hanno questi giocatori e non allenano in grandi club. La gente pensa che se sei Guardiola devi vincere tutto ogni anno, fare milioni di punti e milioni di gol. A volte non è possibile perché ci sono gli avversari. Altre volte, non puoi semplicemente farlo!». Intervista datata 2020, ma senza tempo. Cambiando sport ma non livello, sempre top, assomiglia allo sfogo sul fallimento di Giannis Antetokounmpo, stella del basket Nba.

"Ancelotti il miglior allenatore del mondo"

Tornando ai lettori da compiacere, qui non leggerete evviva il difensivo Carlo e abbasso l’offensivo Pep. Polarizzare in modo così sempliciotto sarebbe da mediocri. Le due fasi, offensiva e difensiva, hanno bisogno magari di accorgimenti tattici, ma non di esagerazioni dialettiche. «Quando abbiamo la palla noi, dobbiamo attaccare bene. Quando hanno la palla loro, dobbiamo difendere bene». Questa frase non è passata alla storia. È troppo facile. Non si sa chi l’ha detta, forse nessuno. È banale, d’accordo. Ma anche vera, nonché confermata dalla doppia sfida tra Real Madrid e Manchester City. Che è finita ai rigori. Dopo due pareggi. In sostanza, pari.

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