Marchisio, Conte e il terremoto Juve: "Ci disse che stavamo facendo schifo..."

L'ex centrocampista bianconero si è raccontato ai microfoni di Radio Serie A: come è nato il soprannome Principino, il rapporto con Del Piero e il feeling con Allegri

A tutto Claudio Marchisio. L'ex centrocampista della Juventus si è raccontato a 360° in una lunga intervista a Radio Serie A. Gli anni in bianconero, dai momenti più difficili ai trionfi. Gli anni vissuti con Alessandro Del Piero, lo stravolgimento portato da Antonio Conte, la mancata vittoria della Champions fino alla scomparsa di Davide Astori. Il racconto intimo del 'Principino', che ha raccontato anche come e quando è nato questo soprannome che lo accompagna tutt'oggi, nonostante abbia smesso di giocare a calcio, dedicandosi alla tv (nel ruolo di opinionista, anche se non tutti i tifosi delle squadre avversarie hanno dimenticato il passato bianconero).

Marchisio: inizi alla Juve da 'Principino'

Marchisio ha mosso i primi passi nel mondo del calcio alla Juventus, squadra della quale era anche tifoso: "Sono stato uno juventino alla Juventus, e questo mi ha portato a vivere una vita intensa. Da tifoso hai l'occasione di vivere momenti importanti, con altrettante sconfitte cocenti. Ma da tifoso e ancor di più quando sono diventato calciatore la Juve mi ha fatto capire che è un mondo dove si lavora per l'altro, per un obiettivo comune. Un messaggio che ti inculcano già nel settore giovanile, sia allenatore che dirigenti: ti lasciano degli aspetti della juventinità che ti rimangono per sempre".

Marchisio è stato per anni simbolo della Juventus, nato e cresciuto in bianconero. È da sempre stato identificato col soprannome di 'Principino', e spiega da cosa nasce: "Avevo 18-19 anni. Io andai elegante all'allenamento, tutti andavano in tuta o in jeans. Balzaretti mi disse: «Sembri proprio un principino. Sei sempre vestito elegante, ma stai qua due ore: perché ti vesti così?». Io ho sempre risposto che preferivo un abito più comodo rispetto ad un jeans stretto più scomodo. Da lì non mi sono più tolto il soprannome". Dagli inizi alla Juventus al finale della carriera bianconera: "Era finita, lo sapevamo da entrambe le parti. Sono contento di quello che ho potuto dare con questa maglia, ho dato davvero tutto. Sono riconoscente alla Juventus perché mi ha dato la possibilità di diventare un calciatore, di vincere e scrivere insieme una parte importante del calcio".

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I momenti più difficili di Marchisio

Una carriera costellata di successi in bianconero, ma ci sono stati anche momenti tristi? "Qualcuno. Ho avuto la fortuna di rimanere in squadra nell'anno della Serie B. Non partii titolare, ma avevo una voglia matta di mettermi in mostra. Facevo su e giù con la Primavera, poi Deschamps a un certo punto mi dà qualche occasione, e pian piano prendo il posto. A fine campionato non avevo segnato ma avevo fornito 3-4 assist: ero contento, ma mi dissero che era meglio se andavo a fare esperienza altrove, a giocare. Chiedevo ai compagni, per esempio a Pavel Nedved, se meritassi la conferma o meno, quasi come mi rivolgessi a un fratello maggiore. Si presenta l'occasione Empoli: ero triste con me stesso, pensando di non aver dato abbastanza. Da lì ho preso carica, ero voglioso di dimostrare quanto valessi, avrei comunque giocato in Serie A".

Un altro episodio doloroso per Marchisio: "Sicuramente il secondo anno in cui finimmo settimi: c'era una tristezza generale. Magari non eravamo da Scudetto, ma non capivamo come mai arrivassimo così lontani dalle coppe. Non si creò nemmeno quell'alchimia al di fuori del campo, che poi ho capito col tempo quanto fosse necessaria". Uno dei momenti più duri arriva proprio alla fine della carriera: "Sì la rottura del crociato, ma ancor di più quando, a metà stagione con lo Zenit, faccio la risonanza e mi dicono che praticamente non avevo più cartilagine nel ginocchio, e che avrei fatto fatica a tornare. Infatti fu così, il che mi ha portato poi alla decisione di smettere di giocare".

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Marchisio e l'idolo Del Piero

Da juventino doc, l'idolo di Marchisio non poteva che essere Alessandro Del Piero: "Entro nella Juventus nel 1993, l'anno in cui lui arriva dal Padova. L'ho visto crescere, me ne sono innamorato come tanti tifosi: io in quegli anni tra l'altro giocavo nel suo stesso ruolo, poi sono arretrato. Ho giocato alle sue spalle, gioito grazie ai suoi gol, ricevuto assist importanti e a volte di ricambiargli il favore. Il mio primo gol in A ricevo l'assist proprio da Del Piero. Se è vero che arrivavo agli allenamenti prima di Del Piero perché dormivo nel parcheggio del centro sportivo? Storia vera, ma non tutti i giorni! C'erano le serate universitarie, in una di queste ho conosciuto mia moglie. Queste serate erano a Torino, io vivevo fuori Torino: avrei dormito talmente poco tornando a casa che era meglio dormire in macchina, così ero pronto al campo. E Del Piero quando mi vedeva lì così presto mi faceva i complimenti, ma non gli ho mai confessato la verità".

Ma quando Marchisio ha visto per la prima volta Del Piero? L'ex Juve ricorda nitidamente quel momento: "Sicuramente lui non può ricordarselo. Ero in macchina sulla tangenziale di Torino, stavo andando a vedere una partita della Juve, non ricordo quale visto che, avendo l'abbonamento, vedevo tutte quelle in casa. Passiamo di fianco al pullman della Juve, non c'erano i vetri scuri come oggi. E così io sbatto le mani sul finestrino della mia macchina e lo saluto, lui mi sorride e ricambia il saluto".

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"Conte l'allenatore migliore che ho avuto"

Uno degli allenatori che ha cambiato, sportivamente parlando, la vita di Marchisio è stato Antonio Conte, che contribuì nella vittoria dei primi 3 Scudetti dell'ex centrocampista: "Il terremoto non è stato il suo arrivo, ma il suo lavoro. A Vinovo ci trovammo prima di andare a Bardonecchia, e ci disse: «Vi rendete conto di quanto state facendo schifo, dopo due settimi posti?». Colpì nell'orgoglio soprattutto chi era lì da tanti anni e aveva già vinto, ricordando loro come si vincesse. Da là nasce un percorso fatto di insegnamenti ma anche di grandi uomini che hanno avuto voglia di ritrovare la fiamma, quel fuoco interiore di cui parlava Antonio. È stato qualcosa di quotidiano, non per i primi 3 mesi: ogni giorno mettevi un mattoncino per avere una corazza in più. Non potevo mai immaginare una cosa così bella".

C'era una particolare caratterstica di Conte che ha lasciato il segno: "Ha una caparbietà incredibile, con sé stesso e con gli altri. Poi con gli anni è cambiato un po', l'ho visto in Nazionale: magari l'esperienza in Inghilterra l'ha aperto un po' nel lavoro e nel rapporto con la squadra. Per quello che mi ha portato nella crescita come giocatore e come uomo è il miglior allenatore che ho avuto. Ma da tutti ho appreso qualcosa: passando ad Allegri, mi ha dato una responsabilità in più. Mi ha 'abbandonato' in mezzo al campo, perché vedeva che potevo far qualcosa senza che lui me lo dicesse. Ogni allenatore ha i suoi metodi e le sue capacità di lettura per ogni giocatore. Antonio forse questo aveva questo limite all'inizio a differenza di Allegri, voleva migliorare tutti insieme. Poi già dal secondo-terzo anno alla Juve ha cominciato a vedere questa cosa qui". 

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Rimpianto Champions e scomparsa Astori

Uno dei grandi rimpianti nella carriera di Marchisio è sicuramente quello di non aver mai alzato al cielo la Champions League: "Come mai non l'abbiamo vinta? Se ci penso ora... Vado a rivedere tutte le squadre con un ciclo vincente, e tutte l'hanno vinta tranne noi. Se ripenso a quello di Lippi, per rimanere nel mondo Juve: lui c'è riuscito. Noi non ce l'abbiamo fatta: non voglio farlo vedere come un alibi, ma nelle due finali abbiamo incontrato due squadre che hanno scritto la storia del calcio in quegli anni. Ci siamo andati vicini senza riuscirci, è un rammarico enorme ma bisogna essere consapevoli che di fronte avevamo squadre fortissime. La ferita resta aperta, son cose che non superi mai: quando arrivi a certi livelli avendo vinto tanto, ti giochi due finali e non riesci a portarne nemmeno una a casa... Secondo me son ferite che non si chiudono. Poi, ovviamente, sono cicatrici che accetti".

Una cicatrice ancor più difficile da superare è quella relativa alla scomparsa prematura di Davide Astori: "Eravamo in campo, stavamo finendo alcune esercitazioni con Caceres e Chiellini dopo l'allenamento. Allegri era già rientrato, essendo finita la seduta. Ma ad un certo punto riviene fuori e ci dà questa terribile notizia. All'inizio non ci vuoi credere e non ci credi. Pensi: «È impossibile!». Non ti dai una spiegazione, poi col tempo abbiamo capito cosa è accaduto. Questo fa capire che anche se siamo sportivi e allenati siamo fragili anche noi. Con Davide ho fatto un percorso insieme in Nazionale, ma al di là del campo è ciò che era Davide, e non Davide Astori, ad aver lasciato il segno: era disponibile con tutti, un vero leader, un capitano. Ha lasciato un vuoto in tante persone, e anche nel calcio. Da quel giorno mi è capitato di pensare alla morte e di averne paura, e non è stata la prima volta. Ho perso un mio caro amico per una brutto male all'età di 17 anni e non mi spiegavo il perché. Il mio più grande timore? Perdere qualcuno a me caro".

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A tutto Claudio Marchisio. L'ex centrocampista della Juventus si è raccontato a 360° in una lunga intervista a Radio Serie A. Gli anni in bianconero, dai momenti più difficili ai trionfi. Gli anni vissuti con Alessandro Del Piero, lo stravolgimento portato da Antonio Conte, la mancata vittoria della Champions fino alla scomparsa di Davide Astori. Il racconto intimo del 'Principino', che ha raccontato anche come e quando è nato questo soprannome che lo accompagna tutt'oggi, nonostante abbia smesso di giocare a calcio, dedicandosi alla tv (nel ruolo di opinionista, anche se non tutti i tifosi delle squadre avversarie hanno dimenticato il passato bianconero).

Marchisio: inizi alla Juve da 'Principino'

Marchisio ha mosso i primi passi nel mondo del calcio alla Juventus, squadra della quale era anche tifoso: "Sono stato uno juventino alla Juventus, e questo mi ha portato a vivere una vita intensa. Da tifoso hai l'occasione di vivere momenti importanti, con altrettante sconfitte cocenti. Ma da tifoso e ancor di più quando sono diventato calciatore la Juve mi ha fatto capire che è un mondo dove si lavora per l'altro, per un obiettivo comune. Un messaggio che ti inculcano già nel settore giovanile, sia allenatore che dirigenti: ti lasciano degli aspetti della juventinità che ti rimangono per sempre".

Marchisio è stato per anni simbolo della Juventus, nato e cresciuto in bianconero. È da sempre stato identificato col soprannome di 'Principino', e spiega da cosa nasce: "Avevo 18-19 anni. Io andai elegante all'allenamento, tutti andavano in tuta o in jeans. Balzaretti mi disse: «Sembri proprio un principino. Sei sempre vestito elegante, ma stai qua due ore: perché ti vesti così?». Io ho sempre risposto che preferivo un abito più comodo rispetto ad un jeans stretto più scomodo. Da lì non mi sono più tolto il soprannome". Dagli inizi alla Juventus al finale della carriera bianconera: "Era finita, lo sapevamo da entrambe le parti. Sono contento di quello che ho potuto dare con questa maglia, ho dato davvero tutto. Sono riconoscente alla Juventus perché mi ha dato la possibilità di diventare un calciatore, di vincere e scrivere insieme una parte importante del calcio".

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