McKennie: “Juve e Serie A mi hanno cambiato. All’inizio mi guardavo intorno e…”

La storia dell’amicizia, i percorsi simili in Europa, l’arrivo in Italia, l’impatto con i bianconeri e il Milan: Wes e Pulisic si raccontano in un video di Espn

Domani ci saranno anche le stelle e le strisce di una sfida nella sfida, tra amici: gli americani Weston McKennie e Christian Pulisic avranno gli occhi addosso di un’intera generazione Made in Usa che vede in loro due i portabandiera di un movimento calcistico in espansione, anche in Europa. Storia di un’amicizia, raccontata in video su Espn. «La prima volta - comincia lo juventino McKennie - che io e Christian ci siamo incontrati eravamo a Carson, in California, eravamo a un camp con 80 ragazzini in 4 bus che ci portavano dal campo all’hotel. Io per caso ero seduto dietro di lui e stavamo pensando a come festeggiare un gol, io lo spruzzavo con una bottiglietta. Siamo diventati amici così: io avevo paura di prendere l’ascensore e lui mi accompagnava su per le scale per 11 piani dopo l’allenamento... Oppure avevamo un pezzo di gomma da masticare che cercavamo di appiccicare su un albero, un giorno ci siamo riusciti e quando siamo tornati due mesi dopo era ancora lì, incredibile... Ci conosciamo da un bel po’ e siamo sempre rimasti in contatto, eravamo uniti. Non so come siamo riusciti sempre a giocare per due squadre avversarie. È stato un bellissimo percorso fino a qui e spero che continui, ma si dice che se sei amico da più di 10 anni sei amico per sempre e spero che sia davvero così».

Tra le risate Pulisic risponde mostrando un carattere diverso da quello del texano: «Non sono il tipo che racconta storie di quel tipo, ma sono contento che lo abbia fatto West: è esattamente così che è iniziata, con lui che era fastidioso come solo lui sa essere e io che lo sopportavo... Ci conosciamo da davvero tanto tempo come ha detto ed è incredibile che abbiamo sempre giocato per squadre rivali. Magari un giorno giocheremo per la stessa squadra, chi lo sa. Ci divertiamo a giocare uno contro l’altro, non solo in campo ma in ogni cosa, giochiamo insieme ai videogiochi...».

Si sono ritrovati in Serie A, su fronti opposti, e domani saranno ancora avversari mentre in Nazionale sono due punti di forza degli Usa. «Penso che entrambi - spiega il rossonero Pulisic - abbiamo sempre voluto essere calciatori professionisti in Europa, è quello di cui abbiamo parlato più spesso. Non è che ci siamo detti “un giorno andremo a giocare per squadre rivali” ma è fantastico che sia successo e siamo felici di aver avuto la possibilità di giocare insieme in Nazionale. Come detto è successo in questo modo, però penso che abbiamo avuto sempre molto chiari in mente i nostri obiettivi e abbiamo parlato spesso di giocare ai massimi livelli in Europa. Ed è davvero fantastico essere riusciti a realizzarlo».

Wes fa eco all’amico: «Non pensavo che sarebbe davvero potuto succedere. All’epoca era diverso, non c’erano molti americani che giocavano in Europa, quindi il sogno di entrambi era di riuscire ad arrivare almeno a giocare in Europa. E come ha detto lui è semplicemente andata così, lui è andato in Germania per primo e io sono andato a Dortmund, poi io sono passato allo Schalke 04 poi sono arrivato in Italia e ora lui è al Milan: è piuttosto divertente come sia andata a finire. Immagino che sia l’universo che ci fa stare sempre vicini...».

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McKennie, Pulisic e il salto di qualità

A Torino e a Milano i due americani hanno compiuto un ulteriore salto di qualità. Come racconta Pulisic: «Penso di essere cresciuto molto qui, non saprei dire bene come. Sono sorpreso di quanto siano difficili molte partite in questo campionato, penso che sia stato un grande test per me, penso che dipenda molto da questo, anche solo per aver avuto l’opportunità di giocare qui. Ho avuto molte possibilità di mostrare quello che posso fare e mi è stato dato spesso un ruolo creativo e molta libertà di azione. Questo ha avuto un ruolo molto importante nel farmi ritrovare la mia autostima».

Il ruolo e le caratteristiche di McKennie sono diverse, ma la Serie A è stata una palestra fondamentale anche per lui: «Questo campionato mi ha permesso di crescere specialmente dal punto di vista tattico e nel senso della posizione. Prima, in Germania, ero il “tuttofare” e correvo davvero ovunque, cercavo di arrivare ad ogni palla e magari correvo 50 metri quando magari bastava che ne corressi 20 per arrivare allo stesso risultato. Quindi credo che l’Italia mi abbia aiutato molto in questo perché il campionato è molto tattico e anche molto difensivo e sono cresciuto molto misurandomi con le squadre di Serie A».

Il fatto di essere un esempio per una generazione è motivo di orgoglio: «È bello - dice il fantasista rossonero - penso che quando sono arrivato in Germania non c’erano molti americani in nessun campionato, ma ce n’erano alcuni che ammiravo. Spero che i ragazzini a casa negli Stati Uniti ci vedano avere successo… siamo stati entrambi in Inghilterra, poi in Germania, ora in Italia e spero che ci guardino e che possano trarre ispirazione da noi, che vedano questi americani cosa possono fare ai livelli più alti e che vogliano fare lo stesso».

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McKennie, gli altri americani e la lingua italiana

Discorso simile per il centrocampista juventino: «Certo, anche io prima di andare in Germania ho visto Christian avere successo in Bundesliga, gli hanno dato delle opportunità e quindi visto quello ho sempre voluto tornare in Germania, perché avevo vissuto lì per un periodo crescendo quindi era come una seconda casa per me. Ma appunto vedere quello che succedeva a Christian mi ha aiutato ad aprire gli occhi, vederlo andare in Inghilterra e vedere me venire in Italia penso che non solo apra gli occhi ai bimbi a casa negli Usa ma anche alle squadre nel campionato, perché se vieni qui e hai successo magari ti dicono “ok, perché non proviamo a prendere un altro, altri due, altri tre…” Come hai detto, in Italia non ci sono molti americani e quando sono arrivato ero uno dei pochi, poi sono arrivati anche Musah, Tim Weah, Tanner Tessman (centrocampista del Venezia, ndr) e stanno facendo bene qui aprendo così la strada a molti altri. Quindi penso che serva molto avere successo in un campionato perché aiuta a portare l’attenzione su quel campionato e le proprie squadre».

L’aspetto più difficile per entrambi? Adattarsi alla lingua italiana. «Decisamente la parte più difficile - per Pulisic - se non la parli affatto». E per McKennie «anche, non avevo proprio un traduttore e quindi quando partecipavo alle riunioni tecniche mi guardavo intorno cercando di capire cosa stesse succedendo. Ma ora non è più così...».

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Domani ci saranno anche le stelle e le strisce di una sfida nella sfida, tra amici: gli americani Weston McKennie e Christian Pulisic avranno gli occhi addosso di un’intera generazione Made in Usa che vede in loro due i portabandiera di un movimento calcistico in espansione, anche in Europa. Storia di un’amicizia, raccontata in video su Espn. «La prima volta - comincia lo juventino McKennie - che io e Christian ci siamo incontrati eravamo a Carson, in California, eravamo a un camp con 80 ragazzini in 4 bus che ci portavano dal campo all’hotel. Io per caso ero seduto dietro di lui e stavamo pensando a come festeggiare un gol, io lo spruzzavo con una bottiglietta. Siamo diventati amici così: io avevo paura di prendere l’ascensore e lui mi accompagnava su per le scale per 11 piani dopo l’allenamento... Oppure avevamo un pezzo di gomma da masticare che cercavamo di appiccicare su un albero, un giorno ci siamo riusciti e quando siamo tornati due mesi dopo era ancora lì, incredibile... Ci conosciamo da un bel po’ e siamo sempre rimasti in contatto, eravamo uniti. Non so come siamo riusciti sempre a giocare per due squadre avversarie. È stato un bellissimo percorso fino a qui e spero che continui, ma si dice che se sei amico da più di 10 anni sei amico per sempre e spero che sia davvero così».

Tra le risate Pulisic risponde mostrando un carattere diverso da quello del texano: «Non sono il tipo che racconta storie di quel tipo, ma sono contento che lo abbia fatto West: è esattamente così che è iniziata, con lui che era fastidioso come solo lui sa essere e io che lo sopportavo... Ci conosciamo da davvero tanto tempo come ha detto ed è incredibile che abbiamo sempre giocato per squadre rivali. Magari un giorno giocheremo per la stessa squadra, chi lo sa. Ci divertiamo a giocare uno contro l’altro, non solo in campo ma in ogni cosa, giochiamo insieme ai videogiochi...».

Si sono ritrovati in Serie A, su fronti opposti, e domani saranno ancora avversari mentre in Nazionale sono due punti di forza degli Usa. «Penso che entrambi - spiega il rossonero Pulisic - abbiamo sempre voluto essere calciatori professionisti in Europa, è quello di cui abbiamo parlato più spesso. Non è che ci siamo detti “un giorno andremo a giocare per squadre rivali” ma è fantastico che sia successo e siamo felici di aver avuto la possibilità di giocare insieme in Nazionale. Come detto è successo in questo modo, però penso che abbiamo avuto sempre molto chiari in mente i nostri obiettivi e abbiamo parlato spesso di giocare ai massimi livelli in Europa. Ed è davvero fantastico essere riusciti a realizzarlo».

Wes fa eco all’amico: «Non pensavo che sarebbe davvero potuto succedere. All’epoca era diverso, non c’erano molti americani che giocavano in Europa, quindi il sogno di entrambi era di riuscire ad arrivare almeno a giocare in Europa. E come ha detto lui è semplicemente andata così, lui è andato in Germania per primo e io sono andato a Dortmund, poi io sono passato allo Schalke 04 poi sono arrivato in Italia e ora lui è al Milan: è piuttosto divertente come sia andata a finire. Immagino che sia l’universo che ci fa stare sempre vicini...».

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