Mihajlovic-Milan, i segreti della svolta

Da Cerci al 4-3-3 e allo spogliatoio Galliani: «Ma adesso stiamo calmi»

MILANO - Finalmente Mihajlovic. La notte dell’Olimpico ha certificato i motivi per cui il Milan ha deciso di affidarsi al “Sergente di Vukovar” per l’ennesima rifondazione degli ultimi anni. La squadra che ha schiantato la Lazio è stata, per la prima volta, a immagine e somiglianza del suo allenatore. Sembrava la Samp di una stagione fa, il che fa ben sperare sul fatto che i rossoneri - avendo ben altro potenziale - possano inserirsi pure nella lotta per vincere il più democratico campionato degli ultimi anni. «Non so se la stagione è girata. In queste 3 partite 9 punti sono buoni, però stiamo calmi. Abbiamo perso troppi punti all’inizio», ha spiegato Adriano Galliani evitando facili trionfalismi in vista del match spartiacque con l’Atalanta, ma pure l’amministratore delegato sa che spesso basta una partita per accendere una squadra e, quella con la Lazio, ha tutto per essere ricordata la gara della svolta. Certo, ora il Milan dovrà provare a infilare il poker con l’Atalanta e sabato - potenza dell’impresa dell’Olimpico - finalmente pure a San Siro non soffieranno più i venti della contestazione.

LA METAMORFOSI - Emblema di questa nouvelle vague rossonera è Alessio Cerci, fischiatissimo dai tifosi per uno stop sbagliato nel finale della gara di Coppa Italia col Perugia (2-0, 17 agosto) e puntualmente massacrato in tutta questa prima parte di stagione, prima che ci fosse la resurrezione domenicale. È presto per dire se Cerci è tornato quello che ha fatto stropicciare gli occhi a tutti nel Toro di Ventura, però il giocatore che a Roma ha squassato la difesa della Lazio può presto rientrare nel giro della Nazionale e rappresentare per il Milan quello che è per la Juve Cuadrado oppure per la Roma Gervinho. Mihajlovic ha avuto il merito di insistere con Cerci, rimanendo insensibile ai mugugni dei loggionisti che - come nella gara con il Sassuolo - fischiavano a prescindere il giocatore, nonostante già lì avesse dato importanti segnali di una crescita in controtendenza con l’ultima, disastrosa stagione. Meriti, quelli dell’allenatore, ammessi pure dall’interessato: «La squadra, e anche il sottoscritto, non hanno passato un bel periodo. È stato molto difficile per me perché mi serviva continuità. E i fischi sono diventati applausi».

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