La Liberazione, l’Italia nuova, i valori democratici, repubblicani. Anche in questa condivisione di ideali si può associare l’epopea del Grande Torino con i primi anni di vita del nostro giornale?
«Certamente. Nel primo numero di Tuttosport del 30 luglio 1945, nel saluto di presentazione di Renato Casalbore (intitolato “Prospettive”, ndr), ricordo bene il riferimento anche a questi valori nuovi. E nel Grande Torino i giocatori erano anche impegnati socialmente, non pensavano soltanto a giocare. Basti dire che molti di loro si fecero anche promotori, pubblicamente, della campagna per votare, per scegliere la Repubblica e dire basta alla monarchia, in occasione del referendum del 2 giugno del 1946. E Tuttosport stava per festeggiare il primo anno di vita. Sempre su Tuttosport, ricordo anche articoli pieni di elogi per le attività sociali del giocatori del Grande Torino. Penso per esempio alle amichevoli organizzate con incasso a favore delle famiglie che avevano avuto partigiani morti, durante la Resistenza. I giocatori del Grande Torino erano diventati fratelli, fratelli veri, unitissimi, soprattutto nel corso degli ultimi due anni di guerra. Forgiati dalla tragedia del conflitto nel momento più duro. Nel 1944 organizzavano amichevoli in posti diversi del Piemonte, nelle campagne, anche per ricevere come… compenso... qualche regalo in natura… polli, salami… pane, conigli, vino… Per raccattare cibo, insomma. La solidarietà tra loro si fece d’acciaio. E attorno a loro era fondamentale la figura di Ferruccio Novo, che era un padre e non solo un presidente, e di quegli altri dirigenti illuminati che aveva attorno a sé. Tutti innamorati dei colori granata e della città. Così è doppiamente bello pensare al legame che quelle persone avevano con i giornalisti di Tuttosport, animati anche loro da nobili ideali di rinascita e fratellanza. E anche con i redattori migliori degli altri giornali, naturalmente. È bello pensare a queste voci rinate libere, nel corso del 1945».
A raccogliere l’eredità di Renato Casalbore fu l’amico fraterno Carlin. Carlo Bergoglio. Una penna brillante, un ottimo giornalista. Ma anche un’artista, autore di bellissimi disegni, vignette, ritratti, pubblicati di volta in volta su Tuttosport. Illustravano gli articoli, strappavano un sorriso, chiarivano un evento. Spesso erano così belli, pungenti e incisivi da diventare una forma d’arte giornalistica per immagini.
«Verissimo. Le fotografie erano rare sui giornali, all’epoca. C’erano problemi evidenti di natura tecnica, poi di mezzo c’era anche un fatto di costi, di tempi lunghi… Per cui i disegni di Carlin facevano riflettere e anche sognare, in tanti casi. Le sue erano tante piccole opere d’arte giornalistiche, è vero. A casa conserviamo un disegno originale di Carlin Bergoglio: mia mamma mi aveva spiegato che Carlin aveva donato quel disegno a mio papà, dopo averlo pubblicato su Tuttosport. Rappresenta proprio mio papà, un suo ritratto di profilo. Più volte Carlin disegnò mio padre su Tuttosport… il fatto che papà segnasse molto era doppiamente affascinante per un giornalista che amava anche esprimere opinioni e giudizi attraverso disegni corredati da frasi lapidarie spesso divertenti, motti, sentenze, didascalie illuminanti. In più papà era stato il primo giocatore del Grande Torino acquistato dal neopresidente Ferruccio Novo, nel 1939, per cui nel corso della seconda metà degli Anni Quaranta era anche il calciatore più ricco di anzianità granata: era un punto di riferimento, uno dei più conosciuti dai giornalisti nel vero senso della parola».
