Sì, perché all’epoca tra i giornalisti, i dirigenti e i giocatori si creavano rapporti forti che andavano anche oltre gli aspetti professionali. Talvolta poteva capitare che l’amicizia si allargasse anche alle famiglie.
«Assolutamente, sì. Era un’altra Italia, un altro mondo rispetto a oggi. Anche tutto un altro sport, un altro modo di intenderlo, di viverlo. Mio padre e il suo amico caro Guglielmo Gabett o, gemelli del gol dell’epoca, andavano ogni tanto anche a raccogliere carta da portare al macero nelle varie aziende cittadine, per ricavare qualche soldo in più e far stare meglio le rispettive famiglie. Nel dopoguerra i sacrifici erano per tutti. Forgiavano, univano più ancora, rendevano in qualche modo tutti uguali. E allora potevano nascere più facilmente anche forti rapporti umani tra le persone... normali e i calciatori, questi campioni, che prendevano il tram e andavano in bicicletta come tutti. E aprivano negozi, bar, dove poi andavano a lavorare con i propri parenti, perché i soldi del calcio erano appena sufficienti. E stiamo parlando dei campioni del Grande Torino, eh! La squadra all’epoca più famosa al mondo!».
Un discorso che si può allargare anche ad altri sport popolarissimi, all’epoca, come il ciclismo.
«Vero, verissimo. Fausto Coppi era molto amico dei giocatori del Grande Torino. Su Tuttosport sono state pubblicate più volte fotografie dei granata insieme a lui, al Filadelfia. C’era un bel fermento… Un altro amico importante di papà e dei suoi compagni era Raf Vallone… e anche Macario… Da come mi raccontava mamma, ripensando agli anni vissuti con papà, nella loro abitazione in via Cordero di Pamparato c’era anche un fermento culturale, certi giorni… Invitati speciali… E tra i cimeli più cari, conservo anche una foto di Coppi con la dedica proprio a mio papà. Fausto scrisse: “Al bravo Ossola”. Ma allora adesso è bello pensare anche a Bartali, “giusto tra i giusti”. Ricordare non solo il campione Anni Quaranta e Cinquanta, ma anche il suo grande impegno per aiutare gli ebrei a nascondersi, a scappare, durante le folli, tragiche persecuzioni razziali. E poi anche quella celebre vittoria di Bartali al Tour del 1948 contribuì a evitare un’insurrezione violenta, insieme alle parole di Togliatti ferito, dopo l’attentato. Come il Grande Torino, un fiore della nuova Italia di cui andare orgogliosi, anche Coppi e Bartali sono stati non solo immensi campioni dello sport, ma anche portatori di grandi valori. E anche loro hanno fatto parte da protagonisti del primo decennio di Tuttosport. Al fianco del Grande Torino, e poi dopo. Il Grande Torino rappresentò per quell’Italia una rinascita, un’amorevole distrazione, un sogno in carne e ossa, un insieme di valori sociali e morali. Onestà, amicizia, solidarietà, fratellanza, speranza, impegno… Tutti valori che poi permeavano anche i resoconti dei giornalisti, quando su Tuttosport e sugli altri giornali raccontavano le vite dei campioni granata e le loro imprese sui campi della nazione. Oppure all’estero. Perché il Grande Torino veniva invitato in Svizzera, in Francia, in Belgio, in Spagna, in Portogallo, addirittura in Brasile, tanto era un simbolo di eccellenza sportiva e di lealtà di un’Italia di nuovo degna di stare pacificamente al mondo. Ed è bello pensare che anche i giornalisti di Tuttosport viaggiavano con loro per condividere questi eventi e queste pulsioni morali, fortissime. Che poi raccontano nel loro articoli per emozionare tutti i lettori, tifosi granata e non».
Poi, decenni dopo suo papà, anche un altro talento dello sport di nome Ossola trovò ampio spazio su Tuttosport, per le sue imprese sportive. Lei…
«Sì, vero, anche se io non ero un campionissimo come mio papà che vinceva tutto, con i suoi compagni…».
Però ha comunque scritto bellissime pagine della storia dell’atletica leggera in particolare tra il 1970 e il ’73. Lei correva i 100 metri, i 200 ed era un protagonista della staffetta sui 100. Nei 100 metri fece bloccare il cronometro dopo 10 secondi e 4 centesimi. Nei 200, dopo 20 secondi e 8 centesimi. Ottimi risultati.
«Sì, è vero, e ne sono orgoglioso. Però conoscevo a memoria anche i glutei di Mennea, con lui si arrivava sempre dopo, sempre dietro!».
A parte le battute, lei ha anche contribuito a realizzare uno straordinario primato mondiale rimasto per molto tempo imbattuto. Il record del mondo conseguito nel 1972 nella staffetta 4 per 200, con i compagni Benedetti, Abeti e proprio Mennea. Franco Ossola nel Guinness dei primati.
«In quegli anni Tuttosport parlava spesso anche di me, per cui il vostro giornale tornò a legarsi in modo speciale con la mia famiglia, poco più di 20 anni dopo la scomparsa di papà. Tuttosport, nella storia di casa nostra, è come un amico di famiglia fin dalla sua nascita, insomma. E anche oggi, ottanta anni dopo».
