Bagnaia è il primo campione del mondo di MotoGP frutto dell’Academy di Valentino Rossi: mai pensato a costruire qualcosa di simile nel nuoto?
«Di più, la stiamo già realizzando».
Stupendo: quando e come sarà?
«Contiamo di partire già quest’anno, anche se per creare qualcosa del genere partendo da zero serve tempo. Intanto serve una struttura d’appoggio adatta. L’idea è quella di creare qualcosa che vada oltre al dirigere una squadra, come ha fatto e sta facendo Matteo, o dal vivere il nuoto come ho sempre fatto io. Qualcosa che per noi non ha prezzo, che ci sta entusiasmando. È il progetto nel quale io e Matteo puntiamo di più, ci crediamo tantissimo. Penso abbia provato la stessa cosa Andrea Dovizioso, che recentemente ha rilevato un crossodromo e ne sta facendo un vero parco del motocross, dove costruire tecnici e atleti, ma non solo».
Quindi non lavorerete solo con campioni di alto livello?
«No, la nostra Academy sarà un modo di vivere il nuoto a 360°, davvero per tutti. Ci saranno gli atleti affermati e i giovani talenti che potremo aiutare, ma anche le persone qualunque che amano il nuoto e vogliono avvicinarsi in un modo nuovo. E soprattutto i disabili. Ci tengo, ci credo».
A proposito di grandi sportivi, è appena tornata da Livigno dove ha imparato a sciare: vuole fidare la sua amica Sofia Goggia?
(sorride) «Quasi quasi... Quella di sciare era una delle tantissime voci della classica lista delle cose da fare che ho fatto dopo il ritiro. E anche su quello ho messo la spunta... Devo dire che me la sono cavata. Sofia invece la conosco da anni, perché viene a fare la preparazione a Verona. Un bel tipino, totalmente dedita a quello che fa. Mi piace. Rischia troppo? Per essere a quei livelli devi essere così, non ce n’è».
Goggia, Brignone, Bassino nello sci, ma anche Wierer e Vittozzi nel biathlon, le slittiniste Voetter-Oberhofer, Quadarella e Pilato nel suo nuoto, la rinascita di Larissa Iapichino e le quattrocentiste nell’atletica... Le donne italiane vincono, più degli uomini, ma allenatrici e ancora più dirigenti quasi non esistono.
«Un quadro impietoso, ma assolutamente reale. Purtroppo nello sport, come nell’ambiente lavorativo in generale, l’Italia è indietro nella considerazione e nel trattamento delle donne. Lo stiamo studiando in questo periodo anche statisticamente nel Cio. Noi donne a un certo punto della vita, soprattutto appena la carriera agonistica arriva al capolinea, veniamo sempre messe davanti a un bivio: la famiglia o il lavoro? È un dilemma generale, non solo nello sport. Tante donne purtroppo sono costrette a sceglie “o-o” perché non sono supportate. Bisogna prende esempio soprattutto dai Paesi del Nord, dove alla donna danno la possibilità di portarsi al lavoro i figli, di viverli non come un sacrificio ma come un arricchimento».
Lei sta vivendo questa cosa sulla sua pelle visto che non fanno che chiederle se è incinta o quando diventerà mamma?
«No, non è una cosa che mi mette di fronte a scelte. Intanto ci sono abituata, perché è una domanda che mi viene fatta da anni e anni. Più che altro è un fastidio, una goccia continua che prima o poi buca la roccia. La maternità è qualcosa di molto personale, che verrà se e quando vorremo, io e Matteo. E che di certo non mi determinerà come persona il fatto di avere dei figlio o meno».
Intanto lei la dirigente la sta già facendo nel Coni e nel Cio, quindi ad alto livello. Come si trova?
«Ci devi fare l’abitudine, perché significa vivere il mio mondo da un punto di vista completamente diverso, molto più politico che sportivo. Con le commissioni atleti lavoro bene perché, come già detto prima per Schillaci e gli altri campioni, parliamo la stessa lingua. Ho qualche difficoltà quando il discorso diventa molto più politico, ma mi ci sto abituando».
Quindi si vede dirigente sportiva, magari l’erede di Malagò?
«No, uno come Giovanni nasce ogni mille anni, è insostituibile e inimitabile. Non penso di arrivare a una carica così importante, anche perché onestamente ho sacrificato così tanto della mia vita, anche se non ho mai vissuto il nuoto e la mia carriera come un sacrificio, che vedermi a Roma, costruendo lì una famiglia, lontano dalla mia e dai miei progetti, in questo momento non la vedo come una soluzione fattibile».
Qual è la cosa che sente più sua nell’ambito dei suoi impegni tra Coni e Cio?
«Sicuramente la Commissione Atleti. Ci stiamo facendo conoscere, con continui passettini in avanti. Molto spesso gli atleti stessi non sanno che nel Comitato olimpico internazionale e in quello nazionale esiste una commissione che li rappresenta. E che lavora per loro. E tanto meno sanno che il Cio stesso ha dato una forte indicazione affinché in tutte le federazioni sportive venga costituita una Commissione Atleti. Un cambiamento molto importante, perché significa entrare nei Consigli federali, dove si decide insomma, e dire la propria, portare avanti le istanze degli atleti, far sentire la loro voce. E soprattutto che le federazioni dovranno ascoltarle».
E di Milano Cortina 2026, le Olimpiadi invernali che torneranno in Italia fra tre anni, cosa dice?
«Che sarà una figata, davvero. Sicuramente siamo un po’ in ritardo, ma ce la faremo. E tutti godranno di Giochi meravigliosi».
E magari, se continua nei suoi progressi sugli sci, la vedremo al cancelletto di partenza...
(sorride) «Come no, farò l’apripista...».
Invece per chiudere questa intervista, se si guarda dentro a poco più di un anno dal ritorno, Federica Pellegrini come si vede?
«Serena, assolutamente serena».
E se proietta sé stessa avanti?
«In acqua, mi vedo ancora e di nuovo in acqua».