Mabél, la rivoluzionaria che amava reinventarsi 

Terminata la carriera eccola in tv con la DS, quindi la passione per l’arte e la scelta di vivere in Calabria insieme alla sorella per godersi il mare
Mabél, la rivoluzionaria che amava reinventarsi © ANSA

Era grande, certo. In tutti i sensi. Noi, all’italiana, storpiavamo il nome in Mabel, ma lei ci teneva a quell’accentazione sulla “e” che la faceva uscire dai confini patrii per ricordare la terra di mamma che era argentina. Mabél Bocchi se n’è andata. Nel silenzio dei grandi, in controtendenza con quel che è stato sempre il suo essere, apparire, vivere la vita: generosa e talvolta sregolata, giocando in qualunque campo, non solo nello sport attivo, per vincere, conquistare comunque uscire dalla mediocrità: con l’istinto della campionessa dovunque si provasse. È stata grande sul parquet dei canestri, tutti l’abbiamo conosciuta, apprezzata, vista trascinare la Geas di Sesto San Giovanni, città periferica del milanese, alle grandi vittorie del basket femminile. Erano tempi in cui tutto pareva genuino, spontaneo, ogni successo in rosa uno squillo di tromba inatteso.

La vittoria in Coppa dei Campioni

Mabél cambiava look, pettinatura, però sul campo la riconoscevi subito. Con le compagne arrivò a vincere la prima coppa dei Campioni per una squadra femminile. Era il 1978, 30 maggio: Mabel aveva appena compiuto 25 anni. La Geas dal 1970 a quell’anno vinse otto scudetti. Otto scudetti in nove stagioni. Mancava la coppa. Mabél arrivò a Nizza, sede della finale contro lo Sparta Praga, in auto con il medico del club, Mario Benazzi, al tempo anche medico dell’Inter, e Rosy Bozzolo, la playmaker: la grande amica. Non si parlava di pullman sociali, almeno per quel basket, ciascuno con mezzi propri. E così ripartì: un po’ di festa dopo il successo, eppoi a casa di nuovo in auto. Pronta a cantare, sognare, tentare nuove esperienze. Era un mondo nel quale Mabél ne usciva davvero come un personaggio di taglia XXL non sono per il fisico. Nel basket sintetizzavano in: “centro” oppure pivot. Comunque bella mano e gran giocare.

Chi era Mabél Bocchi

Vinse tanto con il club, in nazionale restano i ricordi di un terzo posto agli Europei di Cagliari 1974 e un quarto al Mondiale in Colombia l’anno dopo. Era lunga ancor più che alta, saltava così tanto che anche l’atletica ne avrebbe fatto una atleta vincente. Nata a Parma, con tutti i pregi della gente di quelle terre. Si diceva comunista, con il padre che stava politicamente dalla parte opposta. Data di nascita 22 maggio 1953, segno dei gemelli, il nome lungo quanto lei: Liliana Mabél Gracielita. Gracielita nel ricordo di una sorella maggiore morta prima che nascesse. Passò la prima gioventù ad Avellino, poi il trasferimento a Milano: anzi a Sesto, a 18 anni. Fu la magia per vederla sbocciare. Studiò medicina, ma non faceva per lei. Preferì una laurea Isef a 21 anni: voto 110 e lode. C’era da dubitarne del voto? Se n’è andata a 72 anni, aveva raggiunto la sorella Ambra nel buen ritiro calabrese di San Nicola Arcella dove guardava e amava il mare, forse ripensava alle mille avventure, fumava sigari (troppo banali le sigarette), amava gli animali con sentimento più placido rispetto a quello riservato agli uomini che hanno attraversato la sua vita: attraversato più che condizionato.

Dalla politica alla pittura e l'esperienza alla DS

L’ha messa a terra una malattia rapida e crudele. Proprio un affronto per una come lei, irriducibile, che aveva lottato per i pari diritti nello sport femminile, si era provata da giornalista scrivendo e presentando la “Domenica sportiva” e finì messa alla porta, riuscendo ad esser unica, raccontò lei, a perdere una causa con la Rai. Si è dedicata perfino alla politica, ma non era cosa sua. Meglio darsi alla pittura, è stata artista materica. Comparve in un film con Renato Pozzetto e Adriano Celentano (“Lui è peggio di me” il titolo) e declinò l’idea di Playboy per posare nuda. Amava il bello dello sport, non a caso era diventata tifosa di Sinner, nutriva l’idea di una vita mai borghese. Sposò un guerriero Masai in una esperienza che l’aveva portata alla scoperta dell’Africa: dormendo per terra, senza luce e acqua. Poi ci provò con un amore tunisino, un capo reception di un hotel. La storia finì presto. Le affibbiarono diversi flirt, ma Mabél aveva gusti non facili. Amava il bello, diceva. Aveva ragione: è stata una bella ragazza, una bella donna, una bella campionessa. Una rivoluzionaria a modo suo.

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Basket