Basket, Maodo Lo: “A Milano per vincere ancora. E per visitare musei…”

Il playmaker tedesco campione del mondo in carica racconta la sua storia e la decisione di unirsi all'Olimpia
Basket, Maodo Lo: “A Milano per vincere ancora. E per visitare musei…”

Maodo è grande. Di nome - lo dice il nome datogli da papà Alioune, senegalese - e ormai di fatto. Ha condotto la Germania alle Olimpiadi, al terzo posto europeo e ha partecipato da protagonista al titolo Mondiale, insieme con Johannes Voigtmann. Maodo Lo è speciale anche per il codice genetico.

Mamma Elvira Bach è tra le pittrici post moderne (ma anche scultrice) più rinomate. Con opere esposte al MoMa e al Guggenheim. Maodo a 30 anni ha deciso di accettare la sfida e lasciare la sua Berlino e la Germania (che aveva abbandonato solo per gli studi anche cestistici in Usa). Parte come cambio del playmaker, ma Ettore Messina lo seguiva da tempo e lo aveva già cercato. Avrà spazio e responsabilità importanti. Lui che alla Columbia University era chiamato Chairman (presidente) e che si è laureato in liberal arts.

Maodo, cominciano dal Mondiale vinto con la Germania. Visto anche il valore crescente della Bundesliga, come ha fatto il basket tedesco a svilupparsi così in fretta al vertice?
«Il Mondiale è stato fantastico, ma la crescita non è stata affatto repentina. Questa Nazionale è stata costruita intorno a una generazione di talento che ha dato disponibilità fin dal 2015. Ed è cresciuta negli anni, un passo alla volta, con pazienza e programmazione. I segnali della maturazione si erano visti con la qualificazione per le Olimpiadi e con il bronzo europeo 2022. C’è chimica, conoscenza perfetta. E per la Bundesliga vale lo stesso discorso, le società si sono strutturate poco alla volta. Le squadre sono migliorate, i giocatori si sono potuti sviluppare disputando le coppe europee. E ora ne abbiamo due in Eurolega, Bayern Monaco e Alba Berlino. Altre in Eurocup. Sta crescendo anche l’interesse».

Lei a 30 anni, 31 al prossimo 31 dicembre, ha deciso di lasciare Berlino e ha scelto Milano. Ci spiega le due decisioni?
«In precedenza avevo già ricevuto offerte, ma avevo scelto di restare a Berlino per questioni personali, per stare vicino alle persone a me care. A 30 anni ho pensato che fosse il momento giusto e non si potesse rinviare, la carriera di un giocatore non dura all’infinito. Milano mi seguiva, ho pensato che fosse una grande opportunità, la migliore. Voglio mettermi alla prova e qui si gioca per vincere. Io voglio vincere».

Ha vissuto in grandi città. A New York era andato per giocare a basket, visto che in Germania non trovava opportunità. È nato ed è tornato a giocare a Berlino. Ora Milano. Ce ne parli.
«New York e Berlino hanno tratti simili, sono metropoli di carattere internazionale, di grande impatto anche culturale. A Milano sono da appena due settimane e ho potuto girare poco, ma mi attrae molto, voglio conoscerla a fondo approfondire la sua storia, visitare i musei, le gallerie d’arte, vedere spettacoli, provare il cibo sempre di livello assoluto».

Gli italiani hanno avuto parte importante nella sua crescita. Coach Andrea Trinchieri e il direttore sportivo Daniele Baiesi al Bamberg nel suo ritorno in Germania e poi al Bayern. Un motivo in più per venire in Italia?
«Sono stati fondamentali nel mio ritorno in Europa, il basket di college statunitense è molto diverso. Trinchieri è un allenatore davvero molto esigente, insegue la perfezione, coglie al volto ogni errori. Baiesi è stato importante per il mio arrivo e mi ha dato fiducia. Ho parlato tanto con lui e ancora ci sentiamo, ogni tanto. Una grande persona, con tanti interessi, molto attenta. Al Bamberg sono stati anni fondamentali per me. Baiesi mi ha parlato molto anche dell’Italia, del cibo, della cultura, mi ha fatto provare piatti».

Il suo piatto preferito?
«I tortellini in brodo. Del resto Baiesi è bolognese e me li fati conoscere subito».

Si descriva come giocatore.
«Son un playmaker che crea gioco, crea vantaggio in campo. Sono un altruista e ripeto, posso creare vantaggi dal palleggio, in uno contro uno, dal pick and roll. Credo di essere migliorato e maturato parecchio negli ultimi due anni, ho più equilibrio e continuità. Porto energia anche in difesa, in particolare sulla palla».

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Una difficoltà di questa stagione: ha cominciato in estate e non finirà se non dopo i Giochi di Parigi: come si fa?
«A dire il vero sono tre anni che gioco senza soluzione di continuità: dopo la stagione di club, qualificazioni olimpiche e Giochi 2021, poi preparazione e stagione 21/22, piccola pausa ed Europei, stagione con l’Alba e poi preparazione e Mondiali. È dura, ma mi spinge la passione. E poi sono competitivo e se si vince tutto diventa più facile».

Probabilmente è l’unico campione figlio di artista di livello mondiale. Cosa ha imparato da sua mamma?
»La passione. Lei prima ancora che artista è appassionata all’infinito di ciò che fa, ama la pittura, vive per l’arte. E io ho il basket come passione della vita. Poi certo, stando con lei, viaggiando con lei nel mondo anche per mostre e musei, ho imparato a conoscere l’arte, a capirne, essendone immerso. E l’Italia è un posto ideale per approfondire. Tra l’altro spero di conoscere presto Giorgio Armani, un artista della moda».

A volte la passione può diventare ossessione. Esempi nel basket ce ne sono.
«L’ossessione è un livello differente di passione e può avere un’accezione negativa, sarebbe bene identificare un limite. Ma penso anche sia difficile. La passione comunque ti rende ogni cosa che fai più bella e leggera».

Al suo arrivo ha trovato Voigtmann, compagno di Nazionale e Melli, con cui ha giocato al Bamberg. Più facile l’inserimento con loro?
«Ovviamente sì e con Johannes avevo parlato. Più di ogni altro aspetto tecnico e tattico in una squadra conta la chimica, la conoscenza reciproca, la capacità di amalgamarsi in campo e convivere».

Obiettivi suoi e di Milano in questa stagione.
«Se giochi a Milano sai di avere grandi aspettative. È una società che mi ha subito impressionato per l’organizzazione e la preparazione, l’attenzione ai dettagli. Milano gioca per vincere, io gioco per vincere. So che la Serie A è un campionato difficile e l’Eurolega molto competitiva, ma sono circondato da campioni di talento».

Ultima domanda, prime impressioni su coach Messina?
«Sapevo già che è un grandissimo allenatore, molto esigente, spinge la squadra a dare il massimo, attentissimo ai dettagli. La migliore opportunità, per me, di migliorare».

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Maodo è grande. Di nome - lo dice il nome datogli da papà Alioune, senegalese - e ormai di fatto. Ha condotto la Germania alle Olimpiadi, al terzo posto europeo e ha partecipato da protagonista al titolo Mondiale, insieme con Johannes Voigtmann. Maodo Lo è speciale anche per il codice genetico.

Mamma Elvira Bach è tra le pittrici post moderne (ma anche scultrice) più rinomate. Con opere esposte al MoMa e al Guggenheim. Maodo a 30 anni ha deciso di accettare la sfida e lasciare la sua Berlino e la Germania (che aveva abbandonato solo per gli studi anche cestistici in Usa). Parte come cambio del playmaker, ma Ettore Messina lo seguiva da tempo e lo aveva già cercato. Avrà spazio e responsabilità importanti. Lui che alla Columbia University era chiamato Chairman (presidente) e che si è laureato in liberal arts.

Maodo, cominciano dal Mondiale vinto con la Germania. Visto anche il valore crescente della Bundesliga, come ha fatto il basket tedesco a svilupparsi così in fretta al vertice?
«Il Mondiale è stato fantastico, ma la crescita non è stata affatto repentina. Questa Nazionale è stata costruita intorno a una generazione di talento che ha dato disponibilità fin dal 2015. Ed è cresciuta negli anni, un passo alla volta, con pazienza e programmazione. I segnali della maturazione si erano visti con la qualificazione per le Olimpiadi e con il bronzo europeo 2022. C’è chimica, conoscenza perfetta. E per la Bundesliga vale lo stesso discorso, le società si sono strutturate poco alla volta. Le squadre sono migliorate, i giocatori si sono potuti sviluppare disputando le coppe europee. E ora ne abbiamo due in Eurolega, Bayern Monaco e Alba Berlino. Altre in Eurocup. Sta crescendo anche l’interesse».

Lei a 30 anni, 31 al prossimo 31 dicembre, ha deciso di lasciare Berlino e ha scelto Milano. Ci spiega le due decisioni?
«In precedenza avevo già ricevuto offerte, ma avevo scelto di restare a Berlino per questioni personali, per stare vicino alle persone a me care. A 30 anni ho pensato che fosse il momento giusto e non si potesse rinviare, la carriera di un giocatore non dura all’infinito. Milano mi seguiva, ho pensato che fosse una grande opportunità, la migliore. Voglio mettermi alla prova e qui si gioca per vincere. Io voglio vincere».

Ha vissuto in grandi città. A New York era andato per giocare a basket, visto che in Germania non trovava opportunità. È nato ed è tornato a giocare a Berlino. Ora Milano. Ce ne parli.
«New York e Berlino hanno tratti simili, sono metropoli di carattere internazionale, di grande impatto anche culturale. A Milano sono da appena due settimane e ho potuto girare poco, ma mi attrae molto, voglio conoscerla a fondo approfondire la sua storia, visitare i musei, le gallerie d’arte, vedere spettacoli, provare il cibo sempre di livello assoluto».

Gli italiani hanno avuto parte importante nella sua crescita. Coach Andrea Trinchieri e il direttore sportivo Daniele Baiesi al Bamberg nel suo ritorno in Germania e poi al Bayern. Un motivo in più per venire in Italia?
«Sono stati fondamentali nel mio ritorno in Europa, il basket di college statunitense è molto diverso. Trinchieri è un allenatore davvero molto esigente, insegue la perfezione, coglie al volto ogni errori. Baiesi è stato importante per il mio arrivo e mi ha dato fiducia. Ho parlato tanto con lui e ancora ci sentiamo, ogni tanto. Una grande persona, con tanti interessi, molto attenta. Al Bamberg sono stati anni fondamentali per me. Baiesi mi ha parlato molto anche dell’Italia, del cibo, della cultura, mi ha fatto provare piatti».

Il suo piatto preferito?
«I tortellini in brodo. Del resto Baiesi è bolognese e me li fati conoscere subito».

Si descriva come giocatore.
«Son un playmaker che crea gioco, crea vantaggio in campo. Sono un altruista e ripeto, posso creare vantaggi dal palleggio, in uno contro uno, dal pick and roll. Credo di essere migliorato e maturato parecchio negli ultimi due anni, ho più equilibrio e continuità. Porto energia anche in difesa, in particolare sulla palla».

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