Anthony Lamb e la G League: un esempio e un monito da seguire

Il punto con il 25enne statunitense sull'importanza delle franchigie: possono far crescere singoli talenti lavorandoci e controllandoli
Anthony Lamb e la G League: un esempio e un monito da seguire

Quella di Anthony Lamb non è soltanto un’edificante e bella storia di formazione, tangenziale allo star system Nba, emblematica di come si possa salire dal basso sconfiggendo pure i fantasmi della depressione e l’infanzia nell’indigenza. Ci racconta un mondo solo in apparenza marginale. Un mondo che incide parecchio e ancor più lo farà in futuro su tutto ciò che non è Nba. Perché la G League dove ora si pescano stranieri restringe il bacino entro il quale scegliere. Lo dice Lamb, del resto: all’Europa penserà eventualmente a fine carriera. O a sogno finito. Basta fare di conto: le 30 franchigie Nba possono avere sotto contratto 15 giocatori ciascuna. Più due contratti two way (semplificando, giocatori che possono distribuire la loro stagione tra Nba e G League per un totale di 90 gare) che ora diventano 3 ciascuna.

La G League come valore per l'Nba: far crescere singoli talenti

La scorsa stagione le franchigie hanno inoltre effettuato 58 chiamate per 49 giocatori dalla G League. Altro numero da sommare ai 450 più 90. La G League è un valore per la Nba: le franchigie possono far crescere i singoli talenti lavorandoci e controllandoli. All’inizio della scorsa stagione 234 giocatori Nba in organico su 450 erano transitati dalla G League stessa. Un two-way intasca 559.782 dollari, nel novembre 2022 il salario medio di G League è passato a 40.500 e crescerà. Ecco perché il mercato per i nostri club diventa più difficile. Ma potremmo prendere spunto, per esempio creando club satellite, per sviluppare i nostri “Lamb” del futuro. E nel contempo guardare di più al mercato europeo.  

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