Cruyff, l'eroe del cambiamento: quanto ci mancherà

La leggenda del calcio totale ci ha lasciato dopo un brutto male all'età di 68 anni. Perché è stato uno dei più grandi di sempre
3. Johan Cruyff© EPA

BARCELLONA - A far soffiare il vento del cambiamento c’era lui, Johan Cruyff. Ad Amsterdam, a Barcellona o in giro per il mondo. Su un piedistallo, sul terreno di gioco o sul divano di casa. Profeta del gol o Pelé bianco, chiamatelo come volete. L’importante, oggi più che mai, è saper riconoscere il valore. Visionario, progressista e originale. Come il numero di maglia - il 14 - che ha indossato nel corso della carriera arancione, condivisa in parte con il suo mentore Rinus Michels. Che coppia, al Mondiale del ’74. Il titolo fu vinto dai padroni di casa della Germania Ovest, ma gli occhi gioiosi ed euforici degli appassionati si posarono soltanto sulla spietata epopea dell’Arancia Meccanica. Una filosofia di gioco contraria alle consuetudini, scambio di posizioni, movimenti continui, tutti in grado di partecipare alla fase offensiva. Un anticonformismo piacevole perché nuovo e non banale. Cruyff ne era il migliore interprete, lo faceva ‘a modo suo’.

La lucidità del mito tocca anche il dono della parola. «Ci sono così tanti giocatori diversi fra loro che ognuno può scegliere il suo preferito – dichiarò in un’intervista -. Dicono che io fossi il migliore della mia epoca, ma il portiere della mia squadra parava meglio di me». Campionissimo sia davanti sia dietro la linea bianca che separa il gioco delle parti, l’essere calciatore dall’essere allenatore. Quest’ultima avventura interrotta anzitempo a causa dei maledetti problemi di salute. Tre Champions portate in trionfo sul campo con l’Ajax (’71, ’72, ’73), una in panchina con il Barcellona, strappata il 20 maggio del ’92 alla Samp guidata dall’altro genio che ci lasciò due anni fa, Vujadin Boskov. Il gol vittoria? Del grande amico Koeman, l’autore di quel calcio piazzato che si rivelò contrario anche alle logiche dell’autovelox. Un pezzo di vita donato alla Catalogna, un rapporto così viscerale (anche se non sono mancati i bassi) da dare al terzogenito il nome Jordi, lo stesso del patrono della regione. Ci mancherà. Da oggi non sarà blasfemo catalogare il calcio in a.C. e d.C., avanti Cruyff e dopo Cruyff. 

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