Vialli, un leader nato e un maestro dal campo fino alla malattia

Il Gianluca calciatore: un capo al servizio dei compagni. Il percorso con il cancro: una lezione. Il male vissuto senza retorica: “Cerco di non perdere tempo e di dire ti voglio bene a chi ne voglio”

TORINO - Ci scuserà, Gianluca, se usiamo quella foto. Quella con la Coppa dei Campioni, ovviamente. Ci scuserà perché lui aveva iniziato a odiarla. Simpaticamente, per carità, ma già da una decina d'anni gli provocava uno strano miscuglio: orgoglio e stizza. E lo spiegava così: «Dovete capirmi, non è possibile che io sia ancora l'ultimo ad aver alzato quella Coppa con la maglia della Juventus, è una roba che inizia a innervosirmi perché vorrei che qualcuno spedisse in archivio quella foto, dove deve stare, sostituendola con una più fresca». Era juventino nell'anima, Gianluca Vialli, come era doriano, cremonese e legatissimo alla Nazionale. Per ognuna delle sue quattro squadre provava amore da tifoso e, così, tanto era fiero della sua Champions di Roma ‘96, tanto avrebbe voluto vedere la Juventus alzarne un'altra, passando quell'ingombrante testimone a un altro capitano. Non era geloso della sua gloria, Vialli, la condivideva sempre con la squadra, anzi la considerava solo ed esclusivamente di proprietà della squadra, da capitano naturale qual era. Cioè un leader che non aveva mai imparato a esserlo, lo era nato e basta.

Vialli era un grande uomo che giocava a calcio

La grandezza di Vialli va oltre la tecnica, anche se già solo con quella sarebbe stato un gigante: Vialli era un grande uomo che giocava a calcio, quindi logicamente un campione, ma prima - appunto - arrivava sempre il grande uomo. Lo si era già capito quando stava in campo, diverso dagli altri per le scelte, per gli atteggiamenti, per le parole rivolte ai compagni. È stato lampante negli ultimi anni, quelli della sua malattia, nella quale con garbato pudore ha dato a tutti una lezione straziante, ma fondamentale. Niente retorica sulla "battaglia da vincere" o metafore guerriere: Gianluca aveva capito che quella non era una guerra, ma un percorso, una strada che portava altrove e nella quale si doveva imparare, volendo, anche il senso della vita. Ce ne ha offerta una sua versione, saggiamente scanzonata com'era la sua essenza di uomo e calciatore: «Cerco di non perdere tempo, di dire "ti voglio bene" a tutti quelli a cui ne voglio. Mi sono reso conto che non vale più la pena di perdere tempo e fare delle stronzate. Fai le cose che ti piacciono e di cui sei appassionato, per il resto non c’è tempo». Essenziale e dirompente proprio com'era in campo.

Vialli è stato un giocatore strepitoso

Giocatore strepitoso è stato. Completo, anzi completissimo: aveva tecnica straordinaria, forza fisica esplosiva, velocità d'esecuzione, di pensiero, senso tattico, spirito di sacrificio per la squadra, leadership naturale e coinvolgente, di quelle nelle quali non serve alzare la voce per farsi obbedire e che sanno risolvere le crisi dei compagni con una pacca data al momento giusto. Gianni Agnelli lo amava e lo aveva battezzato in modo magnifico: «Vialli mi ricorda il Michelangelo della Cappella Sistina. Lo scultore che sa trasformarsi in pittore», perché, appunto, era un artista completo e gli aveva regalato una delle più grandi gioie calcistiche: quella Champions League alzata nel cielo di Roma. Aveva emozionato anche l'Avvocato, che non era riuscito, quella notte, a essere ironico e distaccato, ma aveva lasciato uscire tutta la passione.

Forse nessuno, è riuscito a essere nello stesso tempo così bomber e così capitano come Vialli

Era stato il capolavoro di un gruppo di uomini diventati squadra grazie al lavoro di Marcello Lippi e Gianluca Vialli. Nell'estate del 1994, Lippi aveva trovato un Vialli demoralizzato, che voleva lasciare la Juventus, lo aveva convinto a restare e gli aveva chiesto il suo aiuto. Ne era nata un'alleanza in grado di portare la Juventus a vincere tutto nel giro di due anni, anche grazie alle loro litigate. Finte, naturalmente: simulate nei momenti critici per alzare la tensione o deviarla altrove. Si mettevano d'accordo prima e si scatenavano davanti ai giocatori, nessuno dei quali ha mai sospettato il trucco. Questo era Vialli, molto più che i gol, spesso decisivi, quasi sempre bellissimi. Vujadin Boskov diceva: «Vedevi gli occhi dei nostri avversari e capivi che Luca li aveva sconfitti prima di entrare in campo». E non era solo ferocia agonistica, a volte era anche solo un sorriso - che belli i suoi sorrisi - un'espressione serena di chi sa che quella partita non la perderà mai, per nessuna ragione al mondo e se eri contro potevi soltanto arrenderti a quell'evidenza. Ci sono stati attaccanti più prolifici di lui, giocatori più strabilianti nelle loro giocate, ma pochissimi, forse nessuno, è riuscito a essere nello stesso tempo così bomber e così capitano come lui, forse Gigi Riva, di cui non a caso era amico e con il quale aveva condiviso tempo e pensieri.

Grazie di tutto, Gianluca, è stato bello

I suoi gol, le sue azioni, le sue imprese da calciatore mancavano già da tempo ai tifosi e agli appassionati di calcio. Ora la nostalgia divorerà i pensieri di tutti quelli che, adesso, lo ascoltavano sempre volentieri parlare di calcio e di vita. Grazie di tutto, Gianluca, è stato bello.

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