Dall’Europa alle buste per i diritti tv: il calcio italiano perde sempre

Tre nostre squadre in finale nelle coppe, ma nessuno ci vuole in televisione: l’editoriale del direttore
Dall’Europa alle buste per i diritti tv: il calcio italiano perde sempre© Getty Images/Aldo Liverani

Dalle tre finali alle tre buste, il calcio italiano perde sempre. Ma questa è la vera sconfitta, la musata che fa molto più male delle coppe sfumate o della semifinale di Nations League: l’asta per i diritti tv del nostro campionato ha raccolto offerte molto inferiori alla base e, si sussurra, forse anche più basse di quelle del contratto attuale. La Lega aveva chiesto 1,15 miliardi di euro, circa duecento milioni in più degli attuali 927,5: Dazn, Sky e Mediaset hanno offerto meno.

L'appeal del campionato italiano

Il mercato traccia spietato il confine fra la sicurezza in se stessi e la presunzione della Lega Serie A, che da mesi abbellisce con le parole la sua mercanzia, fingendo di non sapere il reale valore del prodotto, svilito negli anni da immobilismo politico delle istituzioni, cattive governance, insensata avidità e totale incapacità di investire in modo intelligente da parte dei presidenti. Possiamo anche raccontarci pietose bugie sull’appeal del nostro campionato, ma la verità è che il livello tecnico è mediamente basso, lo spettacolo non sempre godibile e, soprattutto, il contorno è avvilente con le fatiscenti cornici di stadi obsoleti, una degradante cultura sportiva, che vive solo di polemiche arbitrali, e una giustizia sportiva che ha reso a tratti farsesca l’ultima stagione.

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Il resto sono parole

Questa è la verità, al netto dello splendido Napoli, di una manciata di grandi partite a cui quest’anno abbiamo assistito, di un gruppetto di campioni che va assottigliandosi di stagione in stagione, perché i club devono vendere i gioielli per stare a galla. Il resto sono parole, quelle spese in continuazione, da due decenni, a proposito dell’urgenza di riformare i campionati, di costruire stadi, di rilanciare i settori giovanili, di varare progetti a lunga scadenza e non piani raffazzonati per vincere subito e poi lasciare le macerie. E le società italiane invece di fare sistema si fanno la guerra. Sì, per carità, ci sono eccezioni. Vantiamo ancora eccellenti dirigenti e abbiamo una capacità innata di inventare calcio, ottenendo pure qualche risultato importante, ma è sempre frutto di un progetto individuale o, peggio, di una felice improvvisazione, non si intravede mai nulla di sistemico e programmatico nei nostri successi sul campo. Così le televisioni sono meno propense a rischiare i loro soldi, investendoli più volentieri nella Champions League, il prodotto che funziona meglio di tutti e sta cannibalizzando le leghe nazionali, in nome della difesa del calcio del popolo. Ma questa è un’altra storia. O forse no.

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Dalle tre finali alle tre buste, il calcio italiano perde sempre. Ma questa è la vera sconfitta, la musata che fa molto più male delle coppe sfumate o della semifinale di Nations League: l’asta per i diritti tv del nostro campionato ha raccolto offerte molto inferiori alla base e, si sussurra, forse anche più basse di quelle del contratto attuale. La Lega aveva chiesto 1,15 miliardi di euro, circa duecento milioni in più degli attuali 927,5: Dazn, Sky e Mediaset hanno offerto meno.

L'appeal del campionato italiano

Il mercato traccia spietato il confine fra la sicurezza in se stessi e la presunzione della Lega Serie A, che da mesi abbellisce con le parole la sua mercanzia, fingendo di non sapere il reale valore del prodotto, svilito negli anni da immobilismo politico delle istituzioni, cattive governance, insensata avidità e totale incapacità di investire in modo intelligente da parte dei presidenti. Possiamo anche raccontarci pietose bugie sull’appeal del nostro campionato, ma la verità è che il livello tecnico è mediamente basso, lo spettacolo non sempre godibile e, soprattutto, il contorno è avvilente con le fatiscenti cornici di stadi obsoleti, una degradante cultura sportiva, che vive solo di polemiche arbitrali, e una giustizia sportiva che ha reso a tratti farsesca l’ultima stagione.

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