Jerry Calà, 40 anni del bar dello sport: la Juve, il malore e gli aneddoti

Il quarantesimo anniversario del film cult ambientato a Torino diventa l'occasione per curiosità e racconti di stampo anche calcistico
Jerry Calà, 40 anni del bar dello sport: la Juve, il malore e gli aneddoti

Jerry Calà, innanzitutto le chiediamo come sta. Domanda non di semplice etichetta... Con il malore di marzo ha suscitato un moto di affetto in tutta Italia.

«Sto bene, sto bene! Mi sono ripreso e ho ripreso anche il tour estivo. Nella sfiga, ho avuto una grandissima dimostrazione di quanto gli italiani mi vogliano bene. Sono stato sommerso di pensieri, di preoccupazione per la mia salute».

Ma l’ha stupita, tutta questa partecipazione? O tutto sommato era immaginabile?

«Beh, passano gli anni e uno, ogni tanto, magari crede che le cose possano cambiare. Invece ora ho capito di essere radicato nell’immaginario, nella mente della gente. Sono un affetto stabile, ecco!».

L’infortunio, diciamo così, s’è verificato durante le riprese del nuovo film, a Napoli. Un progetto in dirittura d’arrivo.

«Sono sia il regista sia attore, ora fase di montaggio e in autunno il film uscirà. Una storia divertente e originale. Il titolo: “Chi ha rapito Jerry Calà?”. Interpreto me stesso assieme a un cast fortissimo di attori per lo più napoletani. Ho anche un cameo di Clementino, che ha scritto la canzone del film. Si intitola “S’hanno arrubbato Jerry Calà”, è fortissima».

A proposito di film. A Torino, 40 anni fa, girava quello che sarebbe diventato un “cult”.

«Quarant’anni tondi, sì, di “Al bar dello sport”. Proprio di recente mi sono incontrato con Lino Banfi e abbiamo fatto un pranzo rievocativo, ci siamo riabbracciati dopo un po’ di tempo che non ci vedevamo, abbiamo ricordato qui bei giorni di lavorazione. Per me è stato un film molto impegnativo, strano... In un momento in cui tutta Italia parlava con i miei tormentoni, io interpretavo un ragazzo affetto da sordità. Per questo ero reticente. Pensavo: Lino Banfi sparerà tutte le sue battute e io cosa faccio? Però devo dire che alla fine ho avuto una grande soddisfazione, forse le più belle critiche sulla mia interpretazione. Mi ero messo a studiare con il metodo americano, uno o due giorni a settimana incontravo un gruppo di ragazzi affetti da sordità che mi aiutavano. Mi sono impegnato e il risultato è stato ottimo».

Ma l’aneddoto dell’incomprensione con Mara Venier è vero o è leggenda?

«Io allora vivevo con Mara che era molto gelosa; ma a ragione, perché io ero molto bricconcello. E la prima volta che sono venuti questi ragazzi, gentilissimi, hanno suonato il citofono. Mara ha risposto e non sentiva nessuno che rispondesse dall’altra parte. Essendo giustamente prevenuta nei miei confronti, mi ha detto “ecco, sarà una delle tue amanti che è venuta a cercarti e poi è scappata via sentendo la mia voce!”. Quando ha capito l’incomprensione è sprofondata, non sapeva più cosa fare per scusarsi».

Oltre al film,”Al bar dello sport”, un po’ di sport c’è anche nella sua vita. Questioni per lo più familiari. Dalla Juve incrociata con suo papà alla Clivense di suo figlio.

«Mio figlio ha giocato fino ai 14-15 anni nelle giovanili del Chievo ed è diventato un tifoso sfegatato. Mi ha passato la sua passione. Adesso che però il Chievo è stato distrutto, data anche la grande amicizia che c’è tra noi e Pellissier, seguiamo l’avventura della Clivense. Sergio è stato un capitano fantastico e ora è un presidente altrettanto fantastico. Sarebbe la chiusura del cerchio se rilevasse il marchio Chievo. La prima asta è andata vuota, nella seconda vendono solo il marchio e non la matricola, e la richiesta è dimezzata. Spero che Sergio riesca a vincerla».

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E il “legame” con la Juventus?

«Mio papà lavorava all’ufficio informazioni della stazione Centrale di Milano. Ogni tanto arrivavano dei personaggi e lui mi portava la foto con gli autografi. Un giorno tornò con la foto autografata dalla formazione mitica di Boniperti, Charles e Sivori. Quell’episodio mi ha suscitato simpatia per la Juve e per un po’ ho raccontato di essere juventino».    Un passo indietro. Ha detto: “facevo parlare tutta Italia con i miei tormentoni”.

Libidine, doppia libidine, capitttoooo... Come nascevano?

«Per lo più durante gli spettacoli che facevo con i Gatti di vicolo Miracoli. E anche lì siamo partiti da Torino. Con “Non stop”, che peraltro è stata la trasmissione che ha cambiato la tv. Tutti parlano di Drive In, ma Drive In è venuto tre anni dopo. Non stop è stata la prima trasmissione senza presentatore con tutta una serie di comici che poi sono diventati i nuovi comici del cinema italiano: c’ero io, c’era Nuti, c’era Verdone, c’era Troisi con la Smorfia... Comunque, dicevo: partecipavamo alla trasmissione, provavamo gli sketch nei locali e sperimentavamo. Una volta in Sardegna io facevo il concorrente di un quiz e Smaila continuava a dire: “Hai capito?”, “Hai capito?”. E allora ho risposto: “Capitttoooo”. Il pubblico ha risposto bene. Così ho ripetuto: “Capitttoooo”. E tutti ridevano. Io e Umberto ci siamo guardati e ci siamo detti: ecco, trovato!».

La comicità, il cinema, il ruolo di attore, di regista, gli spettacoli dal vivo. Si tratta di ambiti diversi o di base c’è una stessa sensibilità?

«Diciamo che si tratta di ambiti diversi, ma fanno parte di un “talento”, se ce l’ho... Comunque di una predisposizione allo spettacolo che - per curiosità - durante gli anni si è manifestata in vari campi. Pensi che io ho cominciato come musicista. Suonavo il basso nei complessini degli Anni 60. Poi con Smaila avevamo un gruppo beat. A poco a poco con la filodrammatica del liceo classico Maffei di Verona mi hanno messo in scena e ho notato che la gente “ci stava”, così ho approfondito la verve comica. È seguita la televisione. Ma ero sempre curioso, così nelle pause, mentre gli altri andavano in camerino, io andavo a vedere come il regista preparava la prossima scena e mi è venuta voglia di sperimentare anche la regia, che è il massimo. È una sensazione di grande potere perché hai 50 persone che pendono dalle tue labbra e devono fare quello che dici tu. E lì non ci sono caz... Devono fare quello che dici tu!».

Viva la sincerità. Di solito si parla di responsabilità, di senso del dovere...  (ride).

«No, no. È la libidine del potere! Dici: voglio fare questo e lo faccio. Mi è capitato in alcuni film di avere voglia di dire una battuta un po’ diversa dal copione e allora andavo dal regista per confrontarmi. Poteva capitare Vanzina, che dava spazio e libertà. Altri invece erano irremovibili. E così io tornavo a casa con la rabbia e la frustrazione. Qua invece facciamo quello che dico io! Però devo ammettere che chiaramente c’è un grande senso di responsabilità che ti rende più obiettivo anche come attore. Insomma, ti devi poi regolare senza strafare. Ma è bello, mi piace. Il cinema è bellissimo».

Molti suoi film che magari inizialmente venivano accolti tiepidamente o persino stroncati dalla critica, a distanza di anni sono stati visti con ben altri occhi.

«Questa è una storia che si ripete per tutti i comici: massacrati prima, cult poi. Io ho avuto fortuna, però. Questa rivalutazione me la sono gustata da vivo!».

Uno o due titoli in particolare, ci sono?

«E beh, Vacanze di natale. Quando ha compiuto 30 anni, gli è stata dedicata una giornata al Festival di Venezia. Sono andato anch’io con De Sica. Anche Sapore di mare è stato restaurato a Bologna. E poi ho letto che la scena finale di Sapore di mare viene ritenuta una delle più belle della commedia italiana di quegli anni. Un po’ di soddisfazione c’è. E poi la grande soddisfazione la vivoquando vado nelle piazze e la gente ride, applaude. Lo dico senza ipocrisia: dal vivo ho un grandissimo successo».

Lo dicono i numeri, in effetti.

«Ho un luglio fitto di impegni tra piazze, club, spettacoli in giro per l’Italia. A Cuneo, pochi giorni fa, c’erano 15mila persone. Ecco, quelle sono sensazioni impagabili. Adrenalina. Propongo una hit parade delle mie canzoni, quelle che mi hanno accompagnato per tutta la vita e spiego il perché in maniera divertente. Racconto dei miei film. Faccio un monologo sull’attualità. Si tratta anche di una piccola storia della musica applicata al cinema. Per dire: Sapore di mare aveva come colonna sonora una delle più belle canzoni italiane degli Anni 60. Vacanze di Natale aveva le più belle canzoni degli Anni 80».

Ha citato personaggi, come i Vanzina e come tanti attori che hanno diviso la scena con lei, molto appassionati di calcio se non addirittura tifosi sfegatati. È capitato che il calcio fosse d’intralcio nella lavorazione?

«No, al contrario. Il calcio è divertimento, sul set. È un grande tema di discussione con troupe e attori. In tanti film, quando capitavano i Mondiali o gli Europei, adeguavamo gli orari alle partite, al calendario del campionato. E figuratevi cosa è successo adesso a Napoli, quando giravamo mentre la squadra vinceva lo Scudetto! Un casino, bellissimo!». 

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Jerry Calà, innanzitutto le chiediamo come sta. Domanda non di semplice etichetta... Con il malore di marzo ha suscitato un moto di affetto in tutta Italia.

«Sto bene, sto bene! Mi sono ripreso e ho ripreso anche il tour estivo. Nella sfiga, ho avuto una grandissima dimostrazione di quanto gli italiani mi vogliano bene. Sono stato sommerso di pensieri, di preoccupazione per la mia salute».

Ma l’ha stupita, tutta questa partecipazione? O tutto sommato era immaginabile?

«Beh, passano gli anni e uno, ogni tanto, magari crede che le cose possano cambiare. Invece ora ho capito di essere radicato nell’immaginario, nella mente della gente. Sono un affetto stabile, ecco!».

L’infortunio, diciamo così, s’è verificato durante le riprese del nuovo film, a Napoli. Un progetto in dirittura d’arrivo.

«Sono sia il regista sia attore, ora fase di montaggio e in autunno il film uscirà. Una storia divertente e originale. Il titolo: “Chi ha rapito Jerry Calà?”. Interpreto me stesso assieme a un cast fortissimo di attori per lo più napoletani. Ho anche un cameo di Clementino, che ha scritto la canzone del film. Si intitola “S’hanno arrubbato Jerry Calà”, è fortissima».

A proposito di film. A Torino, 40 anni fa, girava quello che sarebbe diventato un “cult”.

«Quarant’anni tondi, sì, di “Al bar dello sport”. Proprio di recente mi sono incontrato con Lino Banfi e abbiamo fatto un pranzo rievocativo, ci siamo riabbracciati dopo un po’ di tempo che non ci vedevamo, abbiamo ricordato qui bei giorni di lavorazione. Per me è stato un film molto impegnativo, strano... In un momento in cui tutta Italia parlava con i miei tormentoni, io interpretavo un ragazzo affetto da sordità. Per questo ero reticente. Pensavo: Lino Banfi sparerà tutte le sue battute e io cosa faccio? Però devo dire che alla fine ho avuto una grande soddisfazione, forse le più belle critiche sulla mia interpretazione. Mi ero messo a studiare con il metodo americano, uno o due giorni a settimana incontravo un gruppo di ragazzi affetti da sordità che mi aiutavano. Mi sono impegnato e il risultato è stato ottimo».

Ma l’aneddoto dell’incomprensione con Mara Venier è vero o è leggenda?

«Io allora vivevo con Mara che era molto gelosa; ma a ragione, perché io ero molto bricconcello. E la prima volta che sono venuti questi ragazzi, gentilissimi, hanno suonato il citofono. Mara ha risposto e non sentiva nessuno che rispondesse dall’altra parte. Essendo giustamente prevenuta nei miei confronti, mi ha detto “ecco, sarà una delle tue amanti che è venuta a cercarti e poi è scappata via sentendo la mia voce!”. Quando ha capito l’incomprensione è sprofondata, non sapeva più cosa fare per scusarsi».

Oltre al film,”Al bar dello sport”, un po’ di sport c’è anche nella sua vita. Questioni per lo più familiari. Dalla Juve incrociata con suo papà alla Clivense di suo figlio.

«Mio figlio ha giocato fino ai 14-15 anni nelle giovanili del Chievo ed è diventato un tifoso sfegatato. Mi ha passato la sua passione. Adesso che però il Chievo è stato distrutto, data anche la grande amicizia che c’è tra noi e Pellissier, seguiamo l’avventura della Clivense. Sergio è stato un capitano fantastico e ora è un presidente altrettanto fantastico. Sarebbe la chiusura del cerchio se rilevasse il marchio Chievo. La prima asta è andata vuota, nella seconda vendono solo il marchio e non la matricola, e la richiesta è dimezzata. Spero che Sergio riesca a vincerla».

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