Se non costruisce nuovi stadi, il calcio italiano è destinato a deperire lentamente e poi scomparire dalla mappa internazionale. Non è catastrofismo, ma l’analisi asettica dello scenario che vede il prodotto “calcio italiano” impoverirsi di campioni e offrire uno spettacolo sempre meno attraente. La condizione degli stadi è parte integrante del problema. E ci saranno sempre meno appassionati disposti a pagare cento euro per accedere a una struttura che non consente una buona visuale della partita, scomoda, pericolosa, con bagni indecorosi, senza bar e, in certi casi, nemmeno coperta. Meno pubblico sugli spalti uguale meno introiti da biglietteria. Ma vedere meno pubblico sugli spalti porta anche a meno ricavi da diritti tv.
Le desolate inquadrature di spalti vuoti e i campi lunghi che catturano strutture che sfiorano il secolo di vita non ingolosiscono il pubblico internazionale e iniziano a disincentivare anche il telespettatore italiano, viziato dagli scorci affollati e colorati della Premier, ma ormai di qualsiasi altro campionato europeo, visto che più o meno ovunque hanno stadi migliori dei nostri. E così, con meno incassi dal botteghino dalle tv, ci saranno meno soldi per i campioni e, in un circolo vizioso piuttosto banale da prevedere, meno voglia di andare allo stadio e di vederlo in tv (dove ci sarà l’alternativa della Premier o, chissà, della Saudi League) e il calcio, una delle prime dieci industrie italiane (con valore economico e culturale), si avvierà verso una crisi irreversibile. Insomma, dire che senza nuovi stadi il calcio italiano muore non è uno slogan, ma la più semplice delle verità. Il perché non ci siano nuovi stadi in Italia potrebbe essere oggetto di un lungo libro, per lo più un noioso elenco di cialtronate di certi presidenti e bluff di certi politici (o viceversa), ma dove ci si è imbattuti in persone serie dall’una e dall’altra parte (esistono, esistono...) queste si sono dovute avventurare nello spaventoso labirinto della burocrazia, hanno dovuto evitare gli assalti delle sovrintendenze e le mine dei ricorsi al Tar. Ora non c’è più tempo da perdere e occasioni da buttare via.
C’è chi sta lavorando in modo serissimo e coraggioso, vedi il Milan che investe (e tanto) per il suo progetto di San Donato e c’è chi combatte come la Roma e la Fiorentina, ma serve imprimere un’accelerata. Il Ministro dello Sport, Andrea Abodi, ha rilanciato ieri l’idea dell’amministratore delegato della Lega Serie A di nominare un «commissario per gli stadi di Euro2032» (come peraltro è accaduto per le Olimpiadi di Milano-Cortina) che accorci il processo decisionale. Dice il ministro: «Ragioneremo su questa possibilità, non per sovrapporci agli interessi territoriali, ma per uniformare il procedimento e mettere tutti nelle stesse condizioni. Abbiamo bisogno di uno sviluppo simmetrico. Abbiamo visto svilupparsi pochi progetti negli ultimi anni e, anche quando c’è stato accordo, la parte burocratica amministrativa prevede iter di parecchi anni. Non può essere solo Euro 2032 a determinare l’effetto che auspichiamo. Ma grazie all’Europeo possiamo occuparci del tema che non riguarda solo i 6 o 7 stadi che ospiteranno le partite della competizione, ma di tutto il sistema professionistico». Mette tristezza pensare che in questo Paese serva un commissario per sviluppare un progetto e per costruire qualcosa di concreto. Ma metterebbe ancora più tristezza perdere anche questo treno e con lui il nostro calcio.
